IL PUNTASPILLI di Luca Martina
I primi cento giorni del nuovo Presidente statunitense sono stati sufficienti per tramutare l’idillio iniziale con i mercati finanziari in un incubo.
Cosa è successo e perché l’umore è cambiato così velocemente?
Per meglio comprenderlo dobbiamo ricordare i presupposti che hanno consentito a Donald Trump di guadagnare il suo secondo mandato.
I timori sulla salute di Joe Biden ne avevano certamente minato la credibilità ma l’elemento chiave, presente in tutti i dibattiti tra i candidati presidenziali, era stata l’inflazione, ritornata ad erodere i redditi degli americani negli ultimi anni dopo essere stata pressoché assente nei decenni precedenti.
Su questo aveva fortemente fatto leva il candidato repubblicano i cui auto-dichiarati super-poteri, da Trump a SuperTrump il passo è breve, avrebbero consentito di rendere l’America nuovamente grande e, soprattutto, senza inflazione.
La sconfitta della malabestia sarebbe arrivata attraverso una politica di deregolamentazione (minori regole, maggiore competizione, prezzi di beni e servizi più bassi) unita a severi controlli sugli aumenti dei prezzi praticati dalle aziende produttrici, per evitare ingiusti arricchimenti a danno dei consumatori.
Ma il menu elettorale presentava anche altre portate, non tutte così gradite, quali gli sgravi fiscali a famiglie ed imprese, il taglio del numero di dipendenti pubblici e, in cauda venenum, i pesanti dazi sulle importazioni.
Un programma così assortito aveva in qualche modo disinnescato i timori derivanti da un ulteriore passo indietro verso la più antica tradizione degli Stati Uniti, che sul protezionismo ed i dazi hanno costruito buona parte della loro storia (sino almeno alla creazione del GATT, dopo la Seconda Guerra Mondiale).
La prima colazione servita dalla nuova amministrazione ha però smentito le troppo ottimistiche previsioni degli analisti finanziari: in questi primi mesi il presidente ha battuto e ribattuto esclusivamente la grancassa delle sanzioni e dei dazi, ignorando le altre, più gradite, iniziative preannunciate.
E dire che, sul piano internazionale, il processo di pacificazione dell’Ucraina, sembra procedere speditamente anche grazie alla spinta statunitense ma, anche qui, alcune sorprendenti prese di posizione, sul Canada, la Groenlandia, il canale di Panama, e, meno inaspettatamente, il disimpegno nei confronti del contributo alla difesa dei Paesi europei, hanno contribuito ad innervosire gli investitori. Viene da chiedersi il perché di tanto accanimento…
La spiegazione potrebbe essere legata al ciclo elettorale: il neopresidente ha di fronte a sé l’intero mandato quadriennale e due anni alle elezioni di mid-term, che, rinnovando tutta la Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato, potrebbero ridefinire l’assetto del Congresso statunitense.
È, quindi, forse questo il momento ideale per servire i piatti più indigesti ai mercati internazionali e per chiedere sacrifici agli stessi americani (il primo effetto dei dazi potrebbe essere quello di far ripartire l’odiata inflazione) avendo poi tutto il tempo, prima del ritorno alle urne, per servire in tavola le portate più appetitose, favorendo così una risalita del consenso elettorale del partito del presidente.
L’incertezza, si sa, è la cosa che più detestano i mercati finanziari e la strategia, spesso ondivaga e dai toni tutt’altro che ortodossi, di The Donald non sta facendo altro che complicare le cose.
Si tratta indubbiamente di un percorso molto rischioso: saltellare sul filo a strapiombo dei dazi e delle sanzioni è molto pericoloso e disattendere la promessa fatta sull’inflazione, che potrebbe ripartire spinta dalle imposte doganali, finirebbe per alienare a Trump una fetta importante degli elettori che lo hanno riportato alla Casa Bianca.
Se però il progetto fosse proprio quello di fare seguire, al bastone dei dazi, la carota (estratta, durante il primo mandato, alla fine di aprile), riuscendo, prima, a negoziare accordi ragionevoli per dare, poi, spazio alle manovre pro-crescita, allora la correzione delle borse potrebbe essere una semplice pausa (con un benefico riequilibrio delle valutazioni, in particolare delle “Magnifiche 7”) nel loro ciclo di crescita e non una duratura inversione di rotta.
È ben noto, infatti, che i mercati azionari possono subire oscillazioni anche molto violente ma i periodi di discesa peggiori (e più lunghi), i “mercati orso”, coincidono con le recessioni economiche.
Questa non sembrerebbe la situazione attuale, sebbene una cattiva gestione dell’impeto fustigatorio trumpiano (con i suoi possibili effetti sulla ripartenza dell’inflazione e le conseguenti ripercussioni negative sulla crescita economica) renderebbe assolutamente possibile un esito negativo, ancorché indesiderato.
D’altronde, in barba alla tanto decantata “efficienza dei mercati”, non sempre le borse hanno ragione ed infatti, come ci ricorda un vecchio adagio, attribuito all’economista Paul Samuelson, gli indici di Wall Street hanno previsto ben 9 delle ultime 5 recessioni…
Va anche detto che quanto descritto provocherà comunque, con tutta probabilità, una recessione “tecnica” (breve e dovuta a fattori temporanei) nei primi due trimestri dell’anno: i timori sui dei dazi in arrivo stimola, da un lato, l’accelerazione all’acquisto dei prodotti importati, prima che questi ne siano colpiti (rendendoli più costosi), e questo va a detrimento del PIL (nel cui calcolo le importazioni sono computate con segno negativo, quando queste salgono ne riducono la crescita) e dall’altro potrebbe congelare, vista l’incertezza, le decisioni d’investimento e nuove assunzioni da parte delle imprese.
La giuria, insomma, deve ancora pronunciarsi ma quello che sembra certo è che le radici protezionistiche stanno trovando terreno estremamente fertile oltreoceano e noi europei ce ne dovremo fare una ragione, prendendo atto del fatto che, dopo più di sessant’anni, la globalizzazione sembra ormai essersi arrestata.
Speriamo solo che, a ragion veduta, il “breakfast americano” servito da SuperTrump consenta una digestione non troppo complicata e faccia dormire sonni tranquilli anche a noi, poveri investitori.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link