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I dazi USA rendono più vulnerabili 23 mila imprese italiane


Secondo le valutazioni compiute nel nuovo Rapporto sulla competitività dei settori produttivi dell’Istat, presentato ieri a Genova dal presidente Francesco Maria Chelli e dal vice presidente di Confindustria per il Centro Studi, Lucia Aleotti, i dazi USA renderanno più vulnerabili alla domanda estera oltre 23 mila imprese italiane, pari allo 0,5% del totale.

La percentuale fortemente minoritaria sul totale non deve però far passare in secondo piano le effettive ricadute. Le imprese coinvolte nel maggiore rischio di vulnerabilità, infatti, impiegano oltre 415 mila addetti (il 2,3% del totale), generano il 3,5% del valore aggiunto e, soprattutto, interessano il 165% del totale dell’export, che rappresenta 87 miliardi di euro.

Per quanto concerne i singoli settori, nella manifattura le imprese vulnerabili si trovano soprattutto nelle c.d. altre attività manifatturiere (il 31% del totale), e a seguire in alcuni settori di specializzazione, come i mezzi di trasporto (28,7%), gli articoli in pelle (27,3%), gli autoveicoli (26,2%), i macchinari (24%).

Come intuibile, la vulnerabilità delle imprese italiane è relativa soprattutto alla domanda di Stati Uniti e Germania. Per il primo mercato, la vulnerabilità riguarda prevalentemente prodotti farmaceutici, prodotti meccanici, gioielleria, generi alimentari e mobili. La vulnerabilità della domanda tedesca è invece relativa soprattutto a parti di autoveicoli, beni energetici, materiale elettrico, prodotti in metallo e lavori in alluminio.

Sempre in termini di vulnerabilità, lo studio sottolinea come le imprese vulnerabili all’import siano meno numerose di quelle vulnerabili all’export, ma abbiano dimensioni medie maggiori (quasi quattro volte di più), una produttività del lavoro doppia rispetto alla media del sistema e diano lavoro a circa 400 mila addetti, generando il 5,7% del valore aggiunto e il 23,8% dell’import totale.

In tal senso, la vulnerabilità maggiore si registra nella farmaceutica, per il 20% delle importatrici, o in comparti a monte nella catena del valore, come legno, coke e chimica.

Infine, secondo un indicatore di vulnerabilità che sintetizza il grado di dipendenza e di concentrazione delle importazioni di input intermedi di un Paese, l’Italia è risultata essere più vulnerabile alle forniture dall’estero rispetto a Germania, Cina e Stati Uniti.



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