Indagine di Confindustria Varese sulla propensione ad investire
Varese – I fattori che contribuiscono a seminare (e far crescere) l’incertezza in campo economico sono tali e tanti, da rendere sostanzialmente impossibile prevedere cosa succederà domani.
Figuriamoci dopodomani.
E’ (anche) per questo motivo se l’andamento economico è così problematico: quasi due anni di cali produttivi nel settore industriale non trovano altra spiegazione.
L’indagine annuale elaborata dall’Ufficio Studi di Confindustria Varese sugli investimenti compiuti nel 2024 (campione di 124 aziende, per un totale di 10.900 dipendenti) da un lato offre un dato confortante (ben il 76% delle imprese ha investito) e dall’altro sconta l’estrema instabilità dello scenario globale.
L’ha denunciato chiaramente Roberto Grassi, presidente di Confindustria Varese, laddove, dopo aver precisato che “la fiducia nel futuro ha tenuto” malgrado gli elevati costi energetici e il “delicato contesto internazionale”, ha opportunamente aggiunto – a fronte del “leggero calo di 3 punti percentuali” sulla propensione ad investire nel 2025 – che si tratta di “un primo campanello di allarme” dato che “al momento della rilevazione, avvenuta prima dell’insediamento della nuova Amministrazione americana, l’indagine non teneva ancora conto delle crescenti preoccupazioni per uno scenario internazionale di tensioni commerciali”.
Il quadro di sfondo, in altre parole, cambia così velocemente, e il più delle volte in senso peggiorativo, da complicare ulteriormente una condizione generale già di per sé estremamente critica.
La decisione trumpiana di scatenare la guerra dei dazi ha pesantemente contribuito a sconvolgere lo scenario economico internazionale, penalizzando quei sistemi Paese, tipo l’Italia, particolarmente proiettati verso i mercati mondiali (l’Italia ha esportato merci per un valore di 626 miliardi di euro, nel 2024, e 64 di questi negli USA).
C’è bisogno prima di subito “di una serie di misure di politica industriale che vadano incontro ai progetti di crescita delle imprese per far sì che la manifattura continui ad essere un asset strategico per tutto il Paese” ha fatto presente il leader di Confindustria Varese, dato che “l’ambizione e il coraggio delle aziende” non possono bastare.
La transizione digitale e quella ecologica necessitano di un piano industriale in grado di supportare l’intero comparto manifatturiero.
L’indagine di Confindustria Varese è incentrata su 5 focus specifici: la sostenibilità, la conformità ESG (Environmental Social and Governance), la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale, gli strumenti del piano di transizione 4.0 e 5.0
La prima tipologia di investimento è stata quella relativa alla sostituzione e all’ammodernamento degli impianti (72% del campione); la seconda ha puntato sugli investimenti immateriali circa la ricerca/sviluppo e i brevetti (39%); la terza ha riguardato l’ampliamento della capacità produttiva (37%).
Il 40% del campione ha mostrato una propensione ad investire superiore al 2023, mentre il 33% ha mantenuto stabile la tendenza e il 27% l’ha diminuita.
Nel gennaio 2025, la precisazione temporale è importante per i motivi già specificati, il 73% delle aziende interpellate ha dichiarato di voler investire anche nel corso del 2025.
Quale sarebbe stata la percentuale se la stessa domanda fosse stata posta nei primi giorni del corrente mese di marzo?
E’ ragionevole supporre, senza con ciò essere accusati di pessimismo esagerato, una certa diminuzione.
In ogni caso, la netta maggioranza delle imprese coinvolte nell’indagine (il 66% che sale al 76% se si includono quelle aziende che non investiranno quest’anno) vede nel calo della domanda il principale fattore critico.
Da notare che il 47% delle industrie ha investito nella transizione digitale, il 45% in sostenibilità, il 43% in compliance ESG, il 38% negli strumenti del Piano 4.0 e 5.0 e il 15% nell’intelligenza artificiale (percentuale che salirà al 32% nel 2025).
In due parole, cosa si aspettano gli imprenditori?
“Misure concrete che da necessarie sono ormai diventate urgenti, a partire da un allargamento della copertura dell’Ires premiale, da una semplificazione burocratica e da una rivisitazione del Piano Transizione 5.0. Ne va della capacità del nostro sistema economico di restare competitivi. Così come serve un’azione coordinata e concreta – risponde Roberto Grassi – a livello europeo nella rivisitazione del green deal e nel recupero di gap tecnologici, in primis digitali”.
Presidente, qual è il suo desiderio più grande?
“Non ci può essere un’Europa unita senza una comune politica industriale”, è la replica immediata.
Il cambiamento è la parola d’ordine di oggi e soprattutto di domani: su questo sono tutti d’accordo.
Qual è, allora il vero problema, anzi, il problema dei problemi?
L’Amministratore delegato di una multinazionale operante nell’Alto Milanese ha fornito la risposta più efficace: “Il problema – ha detto – non è la tecnologia in ritardo. Sono le persone che non vedono il motivo di abbandonare il ‘vecchio ramo’. E se non le aiuti, si aggrapperanno a ciò che è familiare guardando il mondo trasformarsi intorno a loro, ma senza mai fare quel salto. Alla fine della giornata, la tecnologia sarà sempre ‘pronta’: lo saranno anche le persone?”.
Luciano Landoni
Continua a seguirci sui nostri social, clicca qui!
Articoli Correlati
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link