Batterie per l’auto elettrica, l’UE finanzia le gigafactory cinesi che non rispettano ambiente e lavoratori – Economia e Finanza


(Teleborsa) – Un nuovo studio commissionato Transport & Environment (T&E) a Carbone 4 e altri esperti rivela che le gigafactory asiatiche in UE ricevono aiuti di Stato, ma senza condizionalità di alcun tipo. La Commissione Europea, infatti, non ha imposto il rispetto di alcuna condizionalità ambientale o sociale alla gigafactory di batterie di CATL in Ungheria e, a quella di LG Energy Solution in Polonia. Eppure i due stabilimenti hanno ricevuto, complessivamente, almeno 900 milioni di euro di sovvenzioni pubbliche dai governi di quei Paesi.

Le risorse economiche per finanziare le gigafactory in Ungheria e Polonia provengono per lo più dal Fondo europeo per la ripresa post-Covid. Tuttavia, in entrambi gli impianti sono state riscontrate violazioni della Direttiva UE sulle Emissioni Industriali a causa del superamento dei limiti previsti in atmosfera per il NMP, una sostanza chimica tossica utilizzata nella produzione di catodi. Negli stabilimenti ungheresi sono emerse preoccupazioni anche riguardo ai piani di gestione delle acque. Desta inoltre allarme la prospettiva di un aumento dei consumi di gas nel Paese, per soddisfare il fabbisogno energetico delle nuove gigafactory, a fronte di un apporto limitato dalle fonti rinnovabili. Nell’industria europea delle batterie sono state inoltre segnalate diffusamente mancate tutele salariali e insufficiente garanzia dei diritti dei lavoratori.

L’Europa rischia di diventare un semplice polo di assemblaggio. Cosa fare per evitarlo?
Il settore delle batterie in Europa è in crisi, afferma Esther Marchetti, Clean Transport Manager di T&E Italia, intervistata da Teleborsa. Mentre questa nascente industria fatica a prendere piede, oltre il 90% delle batterie per auto elettriche e dei sistemi di accumulo, nonché il 40% dei progetti di gigafactory annunciati nel continente, sono cinesi o sudcoreani. Per non diventare un mero “polo di assemblaggio”, l’Europa può sfruttare il proprio mercato unico come leva per attrarre investimenti. Ma serve una strategia globale per le catene di approvvigionamento delle batterie. Purtroppo, nel recente Piano UE per l’automotive, il sostegno alla produzione interna di batterie al momento è poco più di un buon proposito. Ma così rischiamo di ampliare il divario, già severo, che ci separa dalla Cina. Se l’UE vuole davvero puntare su questa tecnologia pulita, servono subito incentivi finanziari mirati a favorire la crescita di un’economia di scala. E servono requisiti di contenuto locale, ovvero criteri per garantire premialità alla nostra produzione su quella d’importazione.

Miliardi di aiuti pubblici e l’industria europea non ne trae vantaggio. Perché l’Europa ha scelto di accettare questo tipo di accordo?
Il principale problema, spiega Marchetti, è l’assenza di un quadro normativo coerente rispetto alla competizione dell’industria extra UE. Il sistema degli aiuti di Stato UE non prevede condizioni sociali, industriali o simili per le aziende straniere che insediano la loro produzione in Europa. Lo stesso vale per altri fondi o regolamenti europei, così come per le normative nazionali che, ugualmente, non prevedono clausole su percentuali di beni e servizi locali, o su manodopera locale. Al contrario, in Cina e negli USA le imprese locali detengono spesso il controllo nelle joint venture con imprese straniere. E sono avvantaggiate da regole precise su proprietà intellettuale, trasferimento tecnologico, assunzione di personale locale, ricerca e sviluppo.

L’Europa si è fatta promotrice di svolta green e transizione energetica. Come può permettere che le gigafactory asiatiche in UE non rispettino le condizioni ambientali?
Le partnership con l’Asia dovrebbero favorire la condivisione delle conoscenze e permettere all’Europa di recuperare terreno rispetto ai competitor. Tuttavia, sottolinea la top manager, finora non hanno portato vantaggi concreti per l’industria europea e, in alcuni casi, sono emerse violazioni delle normative UE sull’inquinamento atmosferico. Gli Stati Membri devono garantire il rispetto delle normative ambientali, mentre la Commissione Europea deve utilizzare gli strumenti giuridici a sua disposizione per richiedere il trasferimento di proprietà intellettuale.

Lo studio T&E evidenzia salari non adeguati e scarse tutele per i lavoratori. Come si può contravvenire agli standard dell’Unione Europea?
Lo studio commissionato da T&E evidenzia che la Commissione Europea non ha imposto alcuna condizionalità ambientale o sociale alle gigafactory di CATL in Ungheria e di LG Energy Solution in Polonia, nonostante i due impianti abbiano ricevuto complessivamente almeno 900 milioni di euro di sovvenzioni pubbliche dai rispettivi governi. È fondamentale, conclude Marchetti, evitare una “corsa al ribasso” all’interno dell’UE e stabilire regole chiare sugli investimenti diretti esteri. Venire a produrre in Europa deve voler dire, per gli investitori stranieri, farsi pienamente carico dei vincoli delle nostre normative e operare sulla base di standard di sostenibilità sociale e ambientale alti.



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