Si stringe il cerchio intorno a Banca Progetto. Prima l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia e della procura di Milano, nonché quella parallela delle procure di Monza e Brescia, su un giro di prestiti concessi a soggetti e aziende legate alla mafia, che ha portato a fine ottobre il tribunale di Milano a imporre alla banca l’amministrazione giudiziaria.
Ora, quattro giorni fa, Banca d’Italia ha messo l’istituto in amministrazione straordinaria, misura drastica utilizzata in casi di profonde negligenze. Toccherà ai commissari – Lodovico Mazzolin, Livia Casale, Domenico Posca, Francesco De Santis e Nicola Marotta, nominato presidente del comitato di sorveglianza – ripristinare la corretta gestione dei crediti.
Credito facile
Le procure e Bankitalia parlano di credito facile dato a piene mani dall’istituto guidato per sei anni da Paolo Fiorentino a soggetti e imprese, spesso fantasma, senza un’adeguata valutazione del rischio. Una sorta di schiaffo al buon senso se non un autogol per qualsiasi istituto, dato che, se il debitore non dovesse restituire il prestito, questo si tramuterebbe in perdite per la stessa banca. Non per banca Progetto, però, dato che le eventuali sofferenze peseranno sullo Stato.
Banca Progetto infatti lavorava concedendo ai debitori garanzie pubbliche di Sace e Mediocredito. Garanzie che coprivano oltre l’80 per cento del monte impieghi della banca. Se è Pantalone a pagare il conto, allora l’istituto di credito può permettersi di concedere il credito con meno scrupolo: tanto, se andrà male – cioè se il cliente non sarà in grado di tenere fede agli accordi e rimborsare il dovuto – l’errore non peserà sui bilanci della banca, ma sarà in gran parte trasferito allo Stato.
Altre due procure quella di Monza e Brescia hanno indagato. L’inchiesta di Milano aveva appurato un giro di prestiti opachi per 10 milioni, mentre a inizio novembre due distinte operazioni della Guardia di finanza di Brescia e di Como hanno sgominato un’associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato. Qui gli intermediari finanziari territoriali, con l’ausilio di un collaboratore e del rappresentante legale di una società, avrebbe consentito a quest’ultima di beneficiare – anche in questo caso – di prestiti assistiti dal Fondo centrale di garanzia a favore delle pmi del Mediocredito Centrale. Gli inquirenti, in questo secondo caso, hanno sequestrato 6,7 milioni di euro per reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, bancarotta, autoriciclaggio e false comunicazioni sociali.
La banca allora si proclamò parte lesa. L’istituto non ha sportelli e si avvale di broker sul territorio: erano loro a portare le richieste di fido dei clienti. Spettava a loro verificare la solvibilità dei debitori. Ma, come fanno notare i procuratori di Milano, Brescia e Monza, alla banca doveva pur spettare l’azione di verifica e controllo, cosa che pare, alla luce dell’inchiesta, non avvenuta.
Per la cronaca, l’istituto era già incappato nel 2023 in una sanzione amministrativa comminata da Banca d’Italia da 100mila euro, proprio sulle procedure interne. Evidentemente, quella sanzione non è stata sufficiente. Tanto che, dopo le misure del tribunale, anche Banca d’Italia è dovuta intervenire con la misura più severa. Sollevato l’intero consiglio d’amministrazione, la Vigilanza ha imposto i commissari per provare a sanare la situazione.
L’ex vertice Fiorentino
Nel frattempo il banchiere Paolo Fiorentino, ex UniCredit e Banca Carige, che ha gestito la banca negli ultimi anni si è dimesso poche settimane fa. Su di lui pesa anche la condanna in primo grado a 4 anni inflitta lo scorso dicembre dal Tribunale di Milano nel processo su Banca Carige per manipolazione di mercato e false comunicazioni sociali, quando Fiorentino era amministratore delegato dell’istituto ligure. Dai verbali dell’ispezione di Bankitalia avviata a fine ottobre dopo la messa in amministrazione giudiziaria emergerebbe una situazione drammatica. Gli ispettori avrebbero evidenziato una pesante sottostima del rischio del portafoglio prestiti, dato che il rapporto tra crediti deteriorati e gli impieghi il cosiddetto Npl ratio sarebbe salito fino al 17 per cento. Crediti malati saliti e da svalutare con un effetto sui conti della banca di circa 100 milioni di perdite da contabilizzare. Alla fine quindi sulla base della nuova ispezione, anche la garanzia pubblica all’80 per cento del monte impieghi non avrebbe messo al sicuro la banca. Una situazione ben più grave di quanto ci si poteva attendere.
La nascita di Progetto
L’istituto, posseduto dal fondo d’investimento Usa Oaktree (lo stesso che ha acquisito l’Inter), in controtendenza rispetto a un contesto bancario di restrizione dei prestiti, correva come un treno, soprattutto sul fronte dell’erogazione del credito. Solo nel 2023 i nuovi finanziamenti sono aumentati di ben 2,7 miliardi, tutti coperti da garanzie pubbliche all’80 per cento. Una crescita esplosiva che ha portato il portafoglio crediti a 8,2 miliardi. Il tutto mentre il sistema bancario nel suo insieme ha visto l’anno scorso una diminuzione dei finanziamenti. La ragione di tanta spinta nell’erogare crediti è proprio il fatto della copertura pubblica. Si vedeva bene dai bilanci della banca che ora sono stati passati al setaccio da Banca d’Italia che ha invece riscontrato un andamento peggiore delle sofferenze.
Nel 2023 i crediti malati, in gergo i deteriorati lordi, sono saliti a 720 milioni, che rapportati all’intero portafoglio significano un peso dei crediti malati sul totale che sale al 9 per cento. Un livello fuori mercato, dato che il sistema bancario in media ha un livello di crediti malati pari al 3-4 per cento. Ma ecco la mano pubblica: dato che oltre l’80 per cento di quei crediti malati è coperto dal pubblico, l’indice dei crediti malati sul totale scende vertiginosamente, attestandosi al 2,3 per cento, in linea con la media del sistema bancario. Un bilancio quindi sul lato delle sofferenze apparentemente in salute. Tanto credito, tanto guadagno.
Solo di interessi attivi per 442 milioni nel 2023, per un bilancio che ha chiuso con un utile record di 72 milioni, il 38 per cento in più sul 2022. In fondo a Fiorentino e al suo azionista di controllo, il fondo Usa Oaktree, interessava solo guadagnare in tutti i modi possibili.
E il poter spingere sulla leva del credito, avendo la possibilità di trasferire le insolvenze sul fondo pubblico di garanzia, voleva dire alzare costantemente la redditività della banca: gli utili infatti correvano. Ventuno milioni nel 2020; poi 41 l’anno dopo; 52 nel 2022 e i 72 nel 2023. Tutto grazie ai crediti saliti da 2,3 miliardi nel 2020 a oltre 8 miliardi a fine del 2023, ultimo bilancio pubblico. Ma come ha rilevato Via Nazionale anche la garanzia pubblica non è bastata a tenere basse le sofferenze.
Che invece sono salite e ora rischiano di provocare una perdita da mettere nel prossimo bilancio per un centinaio di milioni. Tanta fatica per nulla, si potrebbe dire. Intanto la banca che doveva prima quotarsi (in progetto però è abortito) e passare di mano dal fondo Oaktree a un altro fondo, Centerbridge, resta nel limbo. Ovviamente il passaggio di mano è saltato e Oaktree dovrà fare i conti con gli effetti del commissariamento.
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