Finora il nuovo istituto regionale che avrebbe dovuto razionalizzare il sistema di aiuti alle imprese si è rivelato un “buco nero” che ha inghiottito circa 2,3 milioni dell’erario per non fare nulla
Si chiama Irca. Nato con la legge regionale numero 18 del 2018, l’Istituto regionale per il credito agevolato avrebbe dovuto assorbire le competenze della Cassa regionale per il credito alle imprese siciliane e dell’Istituto regionale per il credito alle cooperative in un unico istituto, razionalizzando così il sistema di aiuti e agevolazioni in Sicilia. Ma finora si è rivelato un “buco nero” che ha inghiottito circa 2,3 milioni dell’erario per non fare nulla. Dispone di oltre 70 milioni, cui si aggiungono altri fondi Ue per rilanciare le attività produttive. Dovrebbe avere circa 90 dipendenti (quelli in organico nei due enti da assorbire) e due sedi, a Palermo e Catania.
Il primo Cda e il primo collegio sindacale si sono insediati a dicembre 2021. «I numeri che ho potuto scorgere dalla lettura dei conti – affermava Clemente Carta, presidente del Cda – confermano che è stato svolto un gravoso lavoro, con importanti aiuti all’ossatura portante dell’economia siciliana. È la testimonianza più chiara della Regione di volere rilanciare una scommessa che veda protagonisti i soggetti più attivi del tessuto produttivo».
Meno di 13 mesi dopo, l’11 gennaio 2023, il governo Schifani revocò il Cda nominandone uno nuovo, composto dalla presidente Vitalba Vaccaro, attuale dirigente generale dell’Autorità regionale per l’Innovazione tecnologica, e dai consiglieri Giuseppe Terranova, funzionario direttivo in quiescenza e sindaco di Montelepre, e Roberto Rizzo, dirigente di terza fascia dell’assessorato alle Attività produttive, guidato dall’assessore Edy Tamajo.
Nulla di fatto
Ma tre anni e due mesi dopo la genesi non è successo nulla di quanto affermato: l’Irca è al palo, mentre gli istituti che doveva inglobare, cioè l’Ircac e la Crias, continuano la loro operatività a favore delle imprese artigiane e cooperative, che stanno per fortuna continuando ad usufruire di credito agevolato a sostegno delle loro attività imprenditoriali. Lo scorso 19 marzo Tamajo ha chiesto al D.g. del dipartimento Attività produttive (l’amministrazione che esercita il controllo sull’Irca), di trasmettere un resoconto sulle attività già intraprese dal Cda dell’Irca per completare il percorso di fusione e di adottare ogni urgente provvedimento per accelerare l’accorpamento, da completare entro 90 giorni, minacciando sanzioni, che potrebbero arrivare anche alla rimozione del Cda. Che, peraltro, viene sollecitata dai sindacati di categoria regionali Fabi, Fisac-Cgil, First-Cisl, Uilca e Ugl, presentando un dossier nel quale parlano di sprechi e sollecitando la Regione a revocare il Cda e il management.
Spulciando i dati, saltano agli occhi anche a chi non è aduso a leggere i bilanci le poste più inconcludenti e illogiche. Come, ad esempio, la spesa di 720mila euro per la realizzazione e gestione di un sistema informatico. Per continuare con le «generose» indennità mensili dei dirigenti facenti funzione che si susseguono per la gestione amministrativa con incarichi a rotazione fino ai quadri direttivi di Ircac e Crias, oltre ai compensi per amministratori e sindaci per circa 300mila euro. Ma la “perla” è l’incarico professionale esterno per una “due diligence” ingiustificata (ma prevista dalla legge regionale n. 10 del 2018). La due diligence si applica per poter analizzare il valore e le condizioni in caso di cessione di un’azienda o di un ramo di azienda o, più in genere, di un “affare”.
Per l’Irca, invece, si tratta di procedere attraverso un provvedimento amministrativo alla fusione di due istituti sottoposti a controllo e vigilanza di un ente pubblico, nel nostro caso la Regione. In realtà la delibera dell’8 gennaio di quest’anno che l’ha disposta dice solo che serve a stabilire «(…) un quadro chiaro e qualitativo circa la reale consistenza del Fondo Unico a Gestione Separata dei due Enti che confluiranno nel patrimonio dell’Irca (…)». E, se ciò non bastasse, c’è un esborso di 23mila euro per un piano industriale che non esiste. E ancora una consulenza esterna da oltre 15mila euro ad un avvocato per l’attività di supporto al responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza e, infine, 40mila euro di rimborsi per viaggi e trasferte per gli amministratori. Una “girandola” di spese che altro non costituisce se non un «grande spreco di risorse», come l’ha definito la segretaria della Fisac Cgil, Mimma Argurio.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA
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