Do not significant harm e neutralità climatica


Sui principi del do not significant harm e della neutralità climatica: alcune riflessioni a margine del Green Deal europeo 

 di Gianluigi Delle Cave

 Sommario: 1. Inquadramento del tema. – 2. I “nuovi” principi ambientali derivanti dal GD: la neutralità climatica e il DNSH. – 2.1. (segue) l’azione del principio di neutralità climatica. – 3. Il principio DNSH at a glance: funzioni e caratteristiche. – 3.1. (segue) e il suo perimetro applicativo. – 4. Il DNSH nel settore dei contratti pubblici. – 5. Il principio DNSH nei procedimenti ambientali. – 6. Conclusioni.

1. Breve inquadramento del tema.

È noto che il principio do not significant harm (“DNSH”) è uno dei pilastri del c.d. “Green Deal” europeo (“GD”).   

Il GD non costituisce una reazione estemporanea diretta a fronteggiare situazioni emergenziali ma, piuttosto, sembrerebbe «più vicino a una pianificazione ragionata e mission oriented, fortemente legata, cioè, a obiettivi, non condizionando le dinamiche di mercato e la concorrenza, ma incidendo sui fini, sui mezzi e sulle strategie di investimento». Il GD, da tale angolo visuale, realizza un nuovo bilanciamento tra la concorrenza e la lotta al cambiamento climatico, in cui la seconda pare destinata ad avere la prevalenza[3]. Una delle conseguenze maggiori di questo nuovo equilibrio riguarda la regolazione del mercato pure per il mezzo di nuovi principi guida. 

A fronte di un’impostazione tradizionalmente intesa a garantire la competizione tra le aziende operanti nel settore, il GD, quindi, «determina la necessaria affermazione di un approccio ‘attivo’ alla materia, con l’adozione di regole intese a incentivare la transizione energetica e a creare meccanismi di solidarietà e condivisione degli oneri tra gli Stati»[4]. Del resto, l’adozione stessa del programma di che trattasi incide profondamente anche sulle politiche industriali, inducendo l’Unione a proporre e sostenere un modello di industria europea fondato su un approccio circolare e rigenerativo. Il Green Deal, difatti, non modifica esclusivamente il bilanciamento realizzato in materia di governo dell’economia da parte dell’Unione, ma segnala anche una nuova modalità di operare nell’ambito delle politiche sociali, in cui si passa da un sistema di regolazione, all’adozione di strategie attive di protezione sociale e decarbonizzazione[5].

Ebbene, la portata applicativa di quanto sopra premesso la si rinviene, oltre che in alcune pronunce dei giudici amministrativi (come quella in commento), pure nella declinazione stessa, concreta, del principio DNSH (come detto costituente uno degli arti del GD), bene perimetrata dal Regolamento UE 2020/852 (c.d. “Regolamento Tassonomia”), il cui art. 3 chiarisce che nel valutare un’attività economica – con riferimento alle misure dei Piani nazionali per la ripresa e resilienza (PNRR) –  si tiene conto dell’impatto ambientale dell’attività stessa e dell’impatto ambientale dei prodotti e dei servizi da essa forniti durante il loro intero ciclo di vita, in particolare prendendo inconsiderazione produzione, uso e fine vita di tali prodotti e servizi. Del resto, lo stesso Recovery Plan europeo mira a ripensare lo spazio UE, vincolando gli Stati non soltanto con obbligazioni “di mezzi” ma anche “di risultato”, laddove i destinatari saranno tenuti non solo a spendere il danaro pubblico, concesso o prestato loro a fondo perduto, ma dovranno anche garantire un risultato conforme ai principi, agli obiettivi e alle aree di investimento programmati a livello eurounitario.

2. I “nuovi” principi ambientali derivanti dal GD: la neutralità climatica e il DNSH

 Preme evidenziare, in primissima battuta, come il GD non accoglie un’impostazione conflittuale tra crescita economica e tutela dell’ambiente, ma si propone, invece, di realizzare attraverso lo sviluppo di politiche industriali e di regolazione uno sviluppo sostenibile tale per cui nel 2050 l’economia europea «non genererà emissioni nette di gas ad effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall’uso delle risorse» (cfr. Comunicazione della Commissione in incipit). La prima fase di questa transizione sembra destinata ad essere contraddistinta da misure riconducibili alla c.d. “disruptive green industrial policy”, segnata dallo smantellamento o riqualificazione delle attività industriali altamente inquinante. Un approccio che è destinato «a sollevare una conflittualità giuridica, ma anche politica tra la sostenibilità ambientale e la sostenibilità sociale»[7].

Ora, proprio l’adozione del GD denota la massima apertura dell’ordinamento dell’Unione ai principi ambientalisti, in quanto tale atto pone l’ambiente e lo sviluppo sostenibile al centro dell’agenda politica dell’Unione. I principi di cui si discute rientrano nell’ambito dei principi del diritto dell’Unione, ma la tendenza ad utilizzarli sotto varie dizioni e con diversi significati induce a formulare talune classificazioni e distinzioni preliminari[8].

Tuttavia, in primis, occorre chiarire che vi sono principi di carattere generale che, pur non potendo essere definiti propriamente ambientali, forniscono un contributo determinante per la politica dell’Unione in questo settore. Come evidenziato in dottrina, ne costituisce una delle migliori espressioni il noto principio di sussidiarietà[9], che ha trovato la sua prima declinazione nell’ordinamento comunitario proprio in questo settore, là dove segnala la necessità che la Comunità agisca nei limiti in cui gli obiettivi comunitari di salvaguardia della qualità dell’ambiente e della salute umana possano essere perseguiti in maniera più adeguata dal livello superiore (art. 25 Trattato di Roma). Questo principio introdotto dall’Atto Unico Europeo[10] ha rivestito – e tutt’ora riveste – un ruolo fondamentale nella creazione di una disciplina sovranazionale dell’ambiente, considerato che l’azione dell’Unione, per la portata e gli effetti, può risultare più idonea al perseguimento di un determinato scopo rispetto a quella presa a livello statale, regionale e locale[11]. Sullo stesso piano si colloca il principio di proporzionalità[12], il quale impone alle istituzioni dell’Unione di adottare solo atti che non superino i limiti di ciò che è appropriato e necessario per il conseguimento degli obiettivi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi. Le medesime considerazioni possono estendersi, evidentemente, ad altri principi di carattere generali, quali ad esempio, solo per citarne alcuni, quelli di solidarietà, di leale cooperazione e di non discriminazione[13].

Su un piano formalmente differente si collocano, invece, i principi specifici in materia ambientale[14], che sono posti a fondamento della politica dell’Unione, la quale deve mirare ad un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità nelle varie regioni d’Europa (art. 191, par. 2, TFUE). Si tratta di principi aventi natura e portata differenti, che risentono di una varietà di obiettivi perseguiti dall’Unione, ma che hanno in comune la tutela, diretta o indiretta, dell’ambiente (a titolo esemplificativo l’integrazione ambientale e lo sviluppo sostenibile, a carattere omnicomprensivo; o ancora il principio chi inquina paga[15], dal contenuto più specifico e circoscritto; il principio di precauzione[16], che si inserisce in una logica di intervento ex ante[17]).

Per quanto qui di immediato interesse, quindi, pare opportuno provare a costruire un’ulteriore distinzione, cioè tra principi ormai consolidati (quelli indicati dall’art. 191 TFUE supra ad esempio), e quelli, invece, di nuova (o nuovissima) generazione, che sono emersi in modo compiuto solo recentemente, come – ad esempio – quello della “neutralità climatica” o “di non arrecare un danno significativo” (do not significant harm, “DNSH”), direttamente discendenti pure dal Green Deal[19].

Sulla neutralità climatica, da obiettivo a principio, non è immediata la riflessione, anzitutto perché nemmeno la Commissione UE si avventura nella sua definizione esatta. Essa, infatti, è presentata, anzitutto, come obiettivo complessivo della strategia in esame e, sul piano contenutistico, la si intende come l’azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra. Neutralità climatica come neutralità di emissioni in sostanza. La normativa europea sul clima, però, aiuta a scolpirne i contenuti in modo più chiaro[20]. Ed infatti, il Regolamento UE 2021/1119 ci fornisce anzitutto un chiarimento di sostanza in tal senso: che la neutralità climatica (già qui elevata a principio?) ha dei suoi obiettivi autonomi (art. 2 del Regolamento cit.) e si poggia su due capisaldi. Il primo, quello della riduzione irreversibile e graduale delle emissioni. Il secondo, l’aumento degli assorbimenti dai pozzi regolamentati nel diritto UE, che includono tanto le soluzioni naturali quanto quelle tecnologiche. In questo modo, in sostanza, «si introduce nella strategia europea la capacità che la stessa natura ha di contrastare il cambiamento climatico, ponendo al centro del progetto gli ecosistemi e la loro protezione»[21]. L’idea di fondo che emerge dalla lettura in combinato disposto dei due articoli (artt. 1 e 2 del Regolamento clima) è, quindi, sostanzialmente, la seguente: poiché oggi si emette più anidride carbonica di quanta se ne possa assorbire – e ciò contribuisce drammaticamente al riscaldamento globale -, occorre trovare un nuovo equilibrio per compensare le emissioni antropogeniche; da un lato, riducendo le emissioni e tenendole sotto controllo; dall’altro, promuovendone la rimozione e la cattura attraverso soluzioni tecnologiche o naturali[22].

Nella formulazione complessiva della normativa europea sul clima, in uno con il GD, quindi, si evince come la neutralità climatica vada oltre la mera decarbonizzazione, trascendendo l’obiettivo ed elevandosi, per ambizione e ampiezza, a vero e proprio principio guida, per lo spettro di azioni che copre a tutela dell’ambiente e per la profondità di funzione sugli interventi che prospetta[23]. Il principio de quo, del resto, sembrerebbe emergere anche da una lettura attenta di ulteriori atti di sviluppo e applicazione del GD qui esaminato, ad esempio del Regolamento (UE) 2024/1781 che istituisce un quadro per la definizione dei requisiti di progettazione ecocompatibile che i prodotti dovranno rispettare per essere immessi sul mercato europeo o messi in servizio. Ed infatti, i plurimi scopi e obiettivi del Regolamento appena citato sono, a tutta evidenza, legati dall’unico fil rouge della – sopra elevata – neutralità climatica, ossia: la fissazione di requisiti di progettazione eco-compatibile e di specifici obblighi di informazione riguardanti, tra gli altri, durabilità, riparabilità, riutilizzabilità, circolarità, impronta di carbonio e impronta ambientale dei prodotti, da fornire ai consumatori per favorire scelte di consumo sostenibili[24]; l’introduzione del Digital Product Passport[25], volto a facilitare la tracciabilità dei prodotti lungo l’intera catena del valore; la definizione di requisiti obbligatori per gli appalti pubblici verdi, al fine di incentivare l’acquisto di prodotti sostenibili da parte delle P.A.; la previsione del divieto di distruzione dei prodotti di consumo invenduti, a vantaggio di riparazione, riutilizzo e riciclaggio; il rafforzamento dei controlli doganali e delle attività di vigilanza del mercato, allo scopo di garantire l’osservanza dei requisiti di progettazione ecocompatibile.

Ma tra i principi in materia ambientale di più recente introduzione nell’ordinamento dell’Unione, occupa certamente rilievo il principio di non arrecare un danno significativo (DNSH), che si traduce, anche in tal caso, in una valutazione di conformità delle misure adottate dalle istituzioni europee e dagli Stati membri, in attuazione del diritto dell’Unione[27]. Tale principio è conosciuto soprattutto perché costituisce un limite al finanziamento delle misure nazionali introdotte attraverso i vari PNRR[28], assumendo estrema rilevanza nelle differenti fasi di attuazione, monitoraggio e controllo[29]. Ora. al nuovo principio DNSH si deve riconoscere, anzitutto, «una più chiara incidenza e attitudine a condizionare le scelte politiche», in virtù dell’inserimento di regole puntuali nel PNRR, nonché l’idoneità ad orientare le scelte delle imprese e i relativi[30]. Tuttavia, in punto di riflessione critica, non si può non rilevare che la portata del principio in esame potrebbe contrastare con quella degli altri principi ambientali supra se sol si consideri, ad esempio, il principio di precauzione[31], o quello dell’azione preventiva e lo stesso principio di integrazione, che sembrano ambire alla protezione dell’ambiente senza stabilire un limite di tollerabilità dell’inquinamento, là dove, il principio DNSH (come bene evidenziato in dottrina[32]) assolve una funzione «più tipicamente compromissoria che promozionale»: le misure non devono arrecare un danno che, peraltro, per essere scongiurato deve essere significativo. Ne consegue che attraverso la descritta tecnica «vengano implicitamente ammessi tutti gli altri interventi ancorché possano determinare un impatto ambientale negativo»[33].

Sulla base di quanto appena esposto, pare quindi il caso di rilevare come il DNSH non sembrerebbe essere identificabile tout court quale principio-valore (a differenza del principio di neutralità climatica, invero questo obiettivo primario del GD); ed infatti, a ben vedere, il Regolamento Tassonomia sembrerebbe configurare il DNSH quale strumento al più per raggiungere gli obiettivi di ecosostenibilità (in altri termini, un mezzo per addivenire alla neutralità supra citata). Sembrerebbe, invece, trovare una migliore configurazione se pensato quale principio-regola (tanto è vero che il “non arrecare un danno significativo all’ambiente” tout court – con riferimento ai finanziamenti PNRR e quindi, a cascata, con riferimento a tutte le opere che attingono al Piano de quo – costituisce regola precisa e bene perimetrata).

Ora, va da sé che, benché ognuno dei principi indicati renda necessario un bilanciamento di interessi confliggenti, in questo caso il punto di equilibrio sembra essere stato fissato piuttosto al ribasso. In parole povere, il perseguimento dell’interesse “prevalente” alla neutralità climatica non sostituisce i vincoli del DNSH e non garantisce da sé l’eco-sostenibilità come obbligazione di risultato nella mitigazione climatica. Del resto, la neutralità climatica è qualificata vincolante dal Regolamento UE n. 2021/1119 solo sul versante della scadenza temporale: il 2050. Essa, cioè, «fissa il termine entro il quale ottenere le obbligazioni di risultato della mitigazione climatica, nel rispetto sia dei vincoli del principio-criterio DNSH sia del consensus internazionale di UE e Stati sulle soglie qualitative e quantitative del pericolo, che UNFCCC e Accordo di Parigi richiedono di garantire».

 2.1. (segue) l’azione del principio di neutralità climatica.

 Ad ogni buon conto, si consideri che la neutralità climatica, per come espressamente tracciata supra, ossia «quell’equilibrio tra le emissioni e gli assorbimenti di tutta l’Unione dei gas a effetto serra da raggiungere entro il 2050», agisce sotto due profili: da un lato, si mira alla riduzione irreversibile e graduale delle emissioni antropogeniche dei gas a effetto serra e, dall’altro, all’aumento degli assorbimenti dai pozzi, cioè foreste, vegetazione, suolo, corpi idrici (così artt. 1 e 2 regolamento UE 2021/1119, ovvero la normativa europea sul clima). E allora se – da obiettivo – si elevasse la neutralità in esame a principio, come sembrerebbe militare una lettura sistematica delle disposizioni eurounitarie sul punto, parrebbe ancor più agevole leggere le componenti principali del GD. In primo luogo, un principio a guida di una rinnovata politica industriale, coerente con gli obiettivi di graduale azzeramento delle emissioni fissati dalla strategia per la neutralità climatica. In secondo luogo, un principio posto a inequivocabile presidio del processo di decarbonizzazione, che della neutralità climatica è un aspetto centrale[35].

Ora, si è correttamente evidenziato che la locuzione “principi del diritto europeo” è una sintesi verbale, di fenomenologie diverse, non tutte riconducibili ai principi del diritto in senso stretto[36]. Il nucleo duro dei principi, scritti e non scritti, è quello di essere delle norme generalissime che indicano dei valori, degli obiettivi generali da raggiungere, lasciando peraltro, poi, all’interprete e in particolare alla giurisprudenza ampi margini di apprezzamento. Nel diritto ambientale, come sopra detto, si pensi alla precauzione (che impone di arrestare un’attività di fronte al dubbio scientifico della sua pericolosità[37]). Altre volte i principi indicano dei criteri di scelta, su cui compiere delle valutazioni: si pensi al principio di proporzionalità (da intendersi come criterio per individuare il minor sacrificio) o al buon andamento (come criterio di efficienza ed efficacia dell’azione). E allora, proprio in tale ottica, il GD richiede un approccio che si attua mediante canoni di flessibilità tali da accompagnare con i minimi urti il percorso di transizione[38], di guisa da richiedere ex se un principio guida o, comunque, un principio “valore”: esso è la neutralità climatica (nei cui confronti la regola del DNSH è al più uno strumento, un mezzo, per raggiungere gli obiettivi di ecosostenibilità, non viceversa).

Contestualmente e all’esito, quindi, della realizzazione degli obiettivi del GD, pare evidente il cambio di paradigma con riferimento alla neutralità climatica, che si candida ad essere elevato a nuovo principio generale oltre che ambientale, riflettendo esso un nuovo assetto sociale ed ecologico europeo, che trova oggi applicazione anche al di fuori delle attività e delle decisioni squisitamente ambientali (si pensi anche alle questioni e alle tematiche intergenerazionali). Del resto, tanto è quanto accaduto con riferimento al principio della sostenibilità (dall’ambiente ai conti pubblici), al principio di sussidiarietà (introdotto in prima battuta dall’Atto Unico Europeo con riferimento al solo ambiente) e, più recentemente al principio di precauzione, che, dal diritto dell’ambiente, ha preso le mosse per trovare poi applicazione anche ai settori della sanità, della lotta alla corruzione o della tutela della privacy[39]. Tanto è possibile prevedere, dunque, con riferimento alla vis espansiva del principio di neutralità climatica.

 3. Il principio DSNH at a glance: funzioni e caratteristiche.

 Muovendo, ora, al DNSH, giova prendere le mosse, anzitutto, dal dato normativo eurounitario da cui il principio de quoimmediatamente discende. In particolare, il Regolamento (UE) 2021/241, che istituisce il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, stabilisce che tutte le misure dei Piani nazionali per la ripresa e resilienza (PNRR) debbano soddisfare il principio di “non arrecare danno significativo agli obiettivi ambientali”. Tale vincolo si traduce in una valutazione di conformità degli interventi al principio DNSH, con riferimento al sistema di tassonomia delle attività ecosostenibili indicato all’articolo 17 del Regolamento (UE) 2020/852. L’art. 2 del Regolamento 852 cit., in particolare, introduce quattro distinte condizioni per qualificare un’attività economica come ecosostenibile. Si tratta, in particolare, di verificare che la stessa: contribuisca al raggiungimento di uno o più degli obiettivi ambientali; non arrechi un danno significativo a nessuno degli obiettivi ambientali; sia svolta nel rispetto delle garanzie minime di salvaguardia e sia conforme ai criteri di vaglio tecnico fissati dalla Commissione e specificati negli articoli successivi ovvero attraverso successivi regolamenti delegati.

Qui il DNSH (a differenza di quanto avviene nel successivo Regolamento 241 cit.) non è enunciato, espressamente e immediatamente, come un principio, ma al contrario come una delle condizioni della ecosostenibilità di un’attività. Così al DNSH, declinato sui sei obiettivi ambientali definiti nell’ambito del sistema di tassonomia delle attività ecosostenibili, viene data, quale perimetrazione di scopo, quella di valutare se una misura possa o meno arrecare un danno ai sei obiettivi ambientali individuati nell’Accordo di Parigi per come riprodotti nel GD.

In particolare, un’attività economica arreca un danno significativo (da un punto di vista generale, con ampi margini di discrezionalità si direbbe): (i) alla mitigazione dei cambiamenti climatici, se porta a significative emissioni di gas serra (GHG); (ii) all’adattamento ai cambiamenti climatici, se determina un maggiore impatto negativo del clima attuale e futuro, sull’attività stessa o sulle persone, sulla natura o sui beni; (iii) all’uso sostenibile o alla protezione delle risorse idriche e marine, se è dannosa per il buono stato dei corpi idrici (superficiali, sotterranei o marini) determinandone il deterioramento qualitativo o la riduzione del potenziale ecologico(iv) all’economia circolare, inclusa la prevenzione, il riutilizzo ed il riciclaggio dei rifiuti, se porta a significative inefficienze nell’utilizzo di materiali recuperati o riciclati, ad incrementi nell’uso diretto o indiretto di risorse naturali, all’incremento significativo di rifiuti, al loro incenerimento o smaltimento, causando danni ambientali significativi a lungo termine; (v) alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento, se determina un aumento delle emissioni di inquinanti nell’aria, nell’acqua o nel suolo; (vi) alla protezione e al ripristino di biodiversità e degli ecosistemi, se è dannosa per le buone condizioni e resilienza degli ecosistemi o per lo stato di conservazione degli habitat e delle specie, comprese quelle di interesse per l’UE [sul piano nazionale, per la valutazione di detti obiettivi e, quindi, per l’applicazione del DNSH, è stata predisposta la “Guida operativa per il rispetto del principio di non arrecare danno significativo all’ambiente” (Guida DNSH), periodicamente aggiornata].

Di poi, la Comunicazione 2021/C 58/01 della Commissione UE, precisa che la valutazione del danno significativo dovrebbe includere la fase di produzione, la fase di uso e quella di fine vita, ovunque si prevedano i maggiori danni. Ad esempio, per una misura che sostiene l’acquisto di veicoli, la valutazione dovrebbe tenere conto, tra l’altro, dell’inquinamento (ad es. emissioni nell’atmosfera) generato durante il montaggio, il trasporto e l’uso dei veicoli, e della gestione adeguata dei veicoli a fine vita. In particolare, una gestione adeguata a fine vita delle batterie e dei componenti elettronici (ad es. il loro riutilizzo e/o riciclaggio di materie prime critiche ivi contenute) dovrebbe assicurare che non è arrecato nessun danno significativo all’obiettivo ambientale dell’economia circolare.

Da tale angolo visuale, quindi, il Regolamento (UE) 2020/852 (unitamente al Regolamento Delegato 2021/2139) descrive, de facto, i criteri generali affinché ogni singola attività economica non determini un “danno significativo”, contribuendo quindi agli obiettivi di mitigazione, adattamento e riduzione degli impatti e dei rischi ambientali. Si assiste, poi, a un cambio di registro: ossia che gli interventi del PNRR devono rispettare il “principio” DNSH e, sulla base di quanto previsto dal Dispositivo per la ripresa e la resilienza, almeno il 37% (art. 18, comma 4, Reg. 2021/241) delle risorse complessive del Piano deve contribuire alla transizione verde e alla mitigazione dei cambiamenti climatici, come definito dal c.d. “tagging” climatico.

In punto metodologico, si evidenzia come la conformità con il principio del DNSH viene verificata ex ante per ogni singola misura tramite schede di auto-valutazione standardizzate, che condizionano il disegno degli investimenti e delle riforme e/o qualificano le loro caratteristiche con specifiche indicazioni tese a contenerne il potenziale effetto sugli obiettivi ambientali ad un livello sostenibile). I criteri tecnici riportati nelle autovalutazioni DNSH, opportunamente rafforzati da una puntuale applicazione dei criteri tassonomici di sostenibilità degli investimenti, costituiscono quindi elementi guida lungo tutto il percorso di realizzazione delle misure del PNRR. 

Le Amministrazioni sono qui, quindi, chiamate a garantire concretamente che ogni misura non arrechi un danno significativo agli obiettivi ambientali, adottando specifici requisiti in tal senso nei principali atti programmatici e attuativi. In particolare, nella fase attuativa, occorre dimostrare che le misure sono state effettivamente realizzate senza arrecare un danno significativo agli obiettivi ambientali, sia in sede di monitoraggio e rendicontazione dei risultati degli interventi, sia in sede di verifica e controllo della spesa e delle relative procedure a monte. Appare evidente, adunque, che la responsabilità del rispetto del principio viene affidata integralmente alla P.A. titolare o attuatrice della misura, nonché all’eventuale soggetto gestore, lungo le varie fasi di attuazione del progettato intervento – ossia ex ante, ma anche in itinere ed ex post in punto di monitoraggio -, ciò senza alcuna apparente garanzia di controllo esterno e senza un corpusnormativo di dettaglio che ne dia chiara attuazione. 

 3.1. (segue) e il suo perimetro applicativo. 

 Quanto all’applicazione in concreto del principio DNSH, sorge, anzitutto, naturale l’interrogativo sul suo rapporto con il più risalente principio dello sviluppo sostenibile. Come evidenziato in dottrina, infatti, mentre quest’ultimo aveva e ha come fine quello di contemperare le spesso non convergenti esigenze economiche, sociali e ambientali, in omaggio a quanto chiedeva già la Commissione Bruntland, il principio in trattazione «pare isolare il fattore ambientale per sottrarlo a qualsiasi forma di bilanciamento con gli interessi economici». Non anche a quelli sociali, però, giacché il Regolamento Tassonomia, agli art.3, par.1, lett. c) e 18, chiede espressamente il rispetto delle garanzie minime di salvaguardia in materia di diritti sociali. Tuttavia, leggendo il secondo Considerando del Regolamento de quo, è possibile rinvenire un punto di contatto tra sviluppo sostenibile e DNSH, ed è l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile

Ora, preme qui ribadire che l’art. 5 del Regolamento UE 2021/241 stabilisce che il dispositivo finanzia unicamente le misure che rispettano il principio “non arrecare un danno significativo”. L’art. 18 del Regolamento cit., al par. 4, lett. d), conferma tale previsione, richiedendo agli Stati membri di indicare nei propri Piani le modalità con cui possono garantire che nessuna misura per l’attuazione delle riforme e degli investimenti in esso inclusa arrechi un danno significativo agli obiettivi ambientali. 

Il legislatore europeo non sembrerebbe, quindi, aver preteso un contributo di segno positivo (il c.d. “contributo sostanziale”), ma avrebbe solo posto un requisito negativo: quello di non peggiorare significativamente le condizioni ambientali (ossia il DNSH), la cui valutazione è rimessa alle Amministrazioni deputate all’attuazione del Piano rispetto a ciascuna delle diverse misure agevolative previste. Le Amministrazioni nazionali sarebbero dunque chiamate – anche in fase di attuazione – a garantire concretamente che ogni misura non arrechi un danno significativo agli obiettivi ambientali.

Il principio de quo, quindi, in punto applicativo, condiziona, di fatto, trasversalmente la realizzazione di ogni misura del Piano, diventando pure uno specifico vincolo all’attività di pianificazione. Tuttavia, è proprio da tale angolo visuale che il DNSH scricchiola quanto a natura giuridica di principio squisitamente ambientale, dal momento che esso sembrerebbe svolgere più funzioni (checché non direttamente alternative). La prima e più evidente applicazione, infatti, riguarda il ruolo di criterio di “condizionalità ambientale”, con l’effetto di escludere dal sostegno finanziario quei progetti e investimenti che risultano incompatibili con la salvaguardia dell’ambiente. Una seconda funzione di questo principio consiste, poi, nel rafforzare tout court la protezione ambientale, quale cioè ulteriore livello di controllo rispetto alla normativa green tradizionale. Si aggiunge una terza dimensione, che mira a garantire che i finanziamenti UE siano destinati esclusivamente a investimenti con elevate prestazioni ambientali (è il caso PNRR che si discosta da altri programmi eurounitari, es. il programma “InvestEU”, che sembrerebbe prediligere le prime due accezioni applicative del DNSH). 

In buona sostanza, adunque, può dirsi che il principio in questione si articola in tre obblighi ben distinti: due di natura restrittiva e uno di carattere propositivo. Il primo, come emerge de plano da quanto sopra evidenziato, impone di non causare un impatto negativo significativo su nessuno degli obiettivi ambientali stabiliti dall’articolo 9 del Regolamento UE 2020/852. Il secondo elemento è il rispetto delle cosiddette “garanzie minime di salvaguardia”, previste dall’articolo 18 del Regolamento UE 2020/852. Ciò implica l’obbligo di tutelare i diritti umani, in coerenza con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, e di aderire al principio del “non nuocere”, che costituisce un pilastro della normativa europea sul clima, come evidenziato nei considerando 6 e 9 del Regolamento UE 2021/1119. Infine, l’elemento a carattere positivo richiede che le decisioni e le misure adottate apportino un contributo rilevante agli stessi obiettivi ambientali sanciti dal Regolamento UE 2020/852. In questo modo, il principio DNSH si declina pure in un quadro di criteri operativi, dettagliati negli articoli da 11 a 15 del Regolamento cit., i quali determinano gli effetti concreti dell’azione pubblica. Questi tre elementi non operano in modo indipendente o alternativo, ma sono strettamente integrati tra loro, contribuendo congiuntamente non solo alla mitigazione del cambiamento climatico ma anche a garantire il rispetto del principio di neminem laedere.

 4. Il DNSH nel settore dei contratti pubblici.

 Come detto, il principio DNSH comporta una verifica specifica da effettuare valutando l’impatto ambientale dell’attività economica che assume rilievo di volta in volta e dei prodotti e servizi da essa forniti durante il loro intero ciclo di vita, in particolare prendendo in considerazione produzione, uso e fine vita di tali prodotti e servizi. In particolare, si è avuto modo di affermare in via pretoria come la previsione, nelle lex specialis, della conformità delle forniture al principio di che trattasi (ove finanziate con il PNRR) non introduce cause di esclusione ulteriori in violazione del principio di tassatività – disciplinato dall’art. 10 del d.lgs. n. 36/2023 – ma di prendere atto che il «documento richiesto – ossia la checklist contenente gli elementi di controllo per l’analisi DNSH – si atteggia quale elemento essenziale dell’offerta tecnica che, una volta non allegato alla medesima, impedisce alla stazione appaltante di compiere la doverosa verifica circa il rispetto del principio do not significant harm».

Ed invero, con specifico riferimento al settore dei contratti pubblici (con finanziamenti PNRR), una corretta allocazione del principio DNSH dovrebbe prevedere l’inserimento dello stesso, in maniera chiara, trasparente e inequivocabile, non solo nella fase di gara vera e propria ma anche, e forse soprattutto, nella fase di esecuzione. Quanto alla prima fase, si pensi che già il disciplinare di gara dovrebbe recare un richiamo univoco al Regolamento Tassonomia e al principio de quo, con indicazione delle dichiarazioni rilevanti da rendersi a cura dell’operatore economico concorrente (ossia di assumersi gli obblighi specifici del PNRR relativamente al non arrecare un danno significativo agli obiettivi ambientali e, ove applicabili, agli obblighi trasversali, quali, inter alia, il principio del contributo all’obiettivo climatico e digitale, il tagging). Dichiarazioni, peraltro, dovute pure dal subappaltatore (art. 119 del d.lgs. n. 36/2023) e dall’eventuale soggetto ausiliario in caso di avvalimento (art. 104 d.lgs. cit.). E ciò, si badi, oltre alla puntuale indicazione, nella lex specialis, della conformità dell’offerta degli O.E. alle specifiche tecniche e alle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi (CAM) applicabili ex art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023. Non a caso, proprio i CAM mirano a selezionare prodotti e servizi o ad affidare lavori migliori dal punto di vista ambientale, vale a dire con minori impatti ambientali (rispetto alle opzioni prive di requisiti ambientali), ciò considerando l’approccio del ciclo di vita, a partire dalla scelta delle materie prime sino alla fase di smaltimento al termine della vita utile del prodotto o servizio (circostanza, questa, che bene ancora il DNSH pure all’interno dei criteri di che trattasi, laddove si consideri che i CAM sono in costante e periodica evoluzione proprio per tenere conto delle innovazioni ambientali, dei progressi tecnici e tecnologici nei mercati di riferimento). Il rispetto dei criteri ambientali minimi, da tale prospettiva, può assicurare il rispetto del requisito tassonomico del DNSH. Nell’ambito delle azioni volte alla riduzione dell’impatto ambientale degli appalti PNRR, invero, si intravede una forte correlazione tra le disposizioni per il rispetto del principio DNSH e le prescrizioni contenute, ad esempio, nel CAM “Edilizia” di cui al d.m. 23 giugno 2022, n. 256.

Quanto sopra, poi, dovrebbe necessariamente riverberarsi anche nella fase esecutiva, per il mezzo di clausole contrattuali precise e dettagliate con riferimento al rispetto del DNSH. Tanto, a titolo esemplificativo, potrebbe rinvenirsi nella sezione dedicata agli obblighi specifici in capo all’aggiudicatario (quanto al rispetto e all’attuazione dei principi e degli obblighi specifici PNRR), alle modalità di svolgimento del servizio (fermo restando il fatto che i soggetti attuatori sono tenuti a disciplinare nelle condizioni particolari di gara tutte le prescrizioni tecniche specifiche dell’intervento), alle cause di risoluzione (laddove il mancato rispetto delle condizioni per la compliance al principio DNSH, oltre all’applicazione di penali contrattuali, può costituire causa di risoluzione del contratto pubblico ai sensi dell’art. 1456 c.c.).

Inoltre, in evidente applicazione del principio in commento, pare opportuno evidenziare l’utilità di previsioni contrattuali volte alla imposizione in capo all’appaltatore della valorizzazione, ove applicabile, di soluzioni volte alla riduzione dei consumi energetici e all’aumento dell’efficienza energetica, determinando un sostanziale miglioramento delle prestazioni energetiche e contribuendo alla riduzione delle emissioni di GHG. Da tale prospettiva, la piena implementazione del DNSH nella fase esecutiva della commessa pubblica imporrebbe pure la traslazione della responsabilità, in capo all’aggiudicatario, del rispetto delle norme e dei regolamenti vigenti nell’ambito del raggiungimento degli obiettivi di mitigazione, adattamento e riduzione degli impatti e dei rischi ambientali (oltre, ovviamente, alla responsabilità circa il concreto e pieno recepimento delle indicazioni specifiche finalizzate al rispetto del principio DNSH e al controllo dell’attuazione dello stesso nella fase realizzativa, anche negli Stati di Avanzamento dei Lavori-SAL, di guisa che gli stessi contengano una descrizione dettagliata sull’adempimento delle condizioni imposte dal rispetto del principio in esame). 

 5. Il principio DNSH nei procedimenti ambientali.

 Giova premettere che la non sovrapponibilità tout court tra DNSH e legislazione ambientale (come detto supra) ha l’indubbio merito di rafforzare pure il livello di protezione ambientale. In altre parole, si vuole evidenziare qui come la conformità alla legislazione ambientale diventa la soglia minima mentre il DNSH diventa un requisito ulteriore, con susseguente innalzamento della soglia di protezione appena citata, come una sorta di ispessimento dei filtri di carattere ambientale. Ed infatti, il principio DNSH rafforza ex se l’interesse ambientale, quasi a mo’ di falange; e ciò è evidente laddove sol si consideri il fatto che esso sarebbe vincolante non solo nella condotta (cioè, prestare la massima attenzione, nella valutazione amministrativa, al profilo ambientale) ma anche nel risultato (non arrecare un danno significativo al bene ambiente), quasi a escludere, o comunque a molto depotenziare, qualsiasi ponderazione degli altri interessi coinvolti

Trattandosi di valutazione squisitamente tecnica, pochissimo spazio, invero, viene riservato qui al bilanciamento dei profili di sostenibilità ambientali con quelli sociali/economici, isolando adunque il fattore ambientale «dalle diverse influenze che potrebbero intaccarlo, comprese le pur legittime esigenze o aspirazioni dei soggetti su cui la misura riverserà i propri effetti».  

Ora, con riferimento a procedimenti preliminari per il rilascio di titoli tipicamente ambientali, quali ad esempio la VIA, la VAS, l’AIA e l’AUA, i vincoli DNSH agiscono tendenzialmente, pure alla luce di quanto ripercorso nei paragrafi precedenti, nella fase ante operam, di guisa che sarà cura del soggetto attuatore tenerne conto in fase di proposta dell’investimento. È interessante notare come, con riferimento a tali aspetti, si è efficacemente proposto (cfr. la Guida DNSH citata) che il corretto mantenimento di tutte le condizioni previste in sede autorizzativa possa essere supportato pure da un sistema documentato di responsabilità e di registrazioni come quello previsto dai sistemi di gestione ambientale tipo ISO 14001 o EMAS, verificati da un organismo di valutazione della conformità accreditato per lo specifico scopo a norma del Regolamento (CE) n. 765/2008. Ad ogni buon conto, diversamente dal caso dei contratti pubblici, nel caso delle autorizzazioni ambientali, sarà qui cura delle P.A. coinvolte quantomeno: (i) garantire il corretto mantenimento di tutte le condizioni previste in sede autorizzativa, richiamando in tal senso l’adempimento alla verifica di ottemperanza delle condizioni ambientali associate ai provvedimenti autorizzatori (sebbene, soprattutto nel caso di amministrazioni di piccole dimensioni, l’assenza del coinvolgimento obbligatorio di istituzioni o organi tecnici di supporto tecnico-scientifico, potrebbe assurgere a problematicità quanto alla corretta verifica delle misure proposte dall’operatore rispetto ai sei obiettivi ambientali del DNSH); (ii) la raccolta e la conservazione di tutti gli elementi di verifica. Approccio, quest’ultimo, che consente, nei fatti, di verificare la coerenza con il principio DNSH all’interno dello stesso processo di VAS o VIA che al contempo garantisce la presenza delle valutazioni e analisi a supporto di livello strategico, necessarie per giustificare il rispetto dello stesso principio di che trattasi.

Restano, tuttavia, alcune incoerenze nell’applicazione del principio DNSH nella materia in esame. La prima riguarda un aspetto concettuale, ossia che la valutazione DNSH debba considerare l’impatto ambientale di una misura in termini assoluti, ossia confrontandolo con una situazione di impatto nullo (aspetto, questo, che conduce a esiti problematici, come la valutazione negativa di soluzioni basate sul gas naturale, poiché, in termini assoluti, la sua produzione comporta senza dubbio alcuno emissioni di CO2). Una seconda criticità riguarda l’applicazione stessa del DNSH, che potrebbe imporre – nei procedimenti di che trattasi – un criterio comparativo non perfettamente coerente per valutare l’impatto ambientale, basato cioè sul confronto con la situazione esistente che l’investimento andrebbe a sostituire (piuttosto che con uno scenario privo di impatti). In terzo luogo, manca, oggi, un coordinamento normativo ordinato tra il DNSH e le procedure ambientali, onde evitare uno sdoppiamento di valutazioni poco logico (si pensi, ad esempio, che i criteri attraverso cui si esplica il principio DNSH ben potrebbero essere inclusi fra quelli già adoperati nella VIA quanto alla valutazione di progetti specifici; ancora, si consideri che i sei obiettivi della mitigazione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici sembrerebbero già rispondenti alla ratio della VAS, nonché della VIA medesima).

 6. Conclusioni.

 Si è osservato come il principio DNSH abbia trovato la sua prima applicazione concreta nell’ambito dell’economia e della finanza. La conformità a tale criterio, in questo scenario, rappresentava un riconoscimento per gli operatori economici che desideravano distinguersi come responsabili da un punto di vista green, in contrapposizione alla pratica di segno opposto del greenwashing. Tuttavia, si badi, non esisteva alcun obbligo generalizzato di rispettarlo. Grazie, però, alla sua struttura, il criterio DNSH è stato rapidamente adottato in altri settori, acquisendo un’importanza sempre più crescente (si pensi alla sua rilevanza oggi nell’assegnazione dei fondi previsti dal Dispositivo per la Ripresa e Resilienza). 

La valutazione di conformità DNSH è, quindi, divenuta un requisito imprescindibile e si è affiancata alle altre procedure ambientali destinate a verificare la sostenibilità delle attività umane. Ora, rispetto a strumenti e normative già orientati de natura alla tutela ambientale (come la VIA e la VAS e i principi sottostanti), il principio DNSH sembrerebbe, di fatto, un’evoluzione del principio di integrazione, nel senso di rafforzarne l’efficacia nel prevenire la realizzazione di progetti contrari ai principi della sostenibilità (si veda, in parallelo, la riduzione della discrezionalità amministrativa nella verifica del rispetto del DNSH rispetto a quanto avviene, ad esempio e con riferimento ai plurimi interessi da bilanciare nel gioco procedimentale, nella VIA). A differenza, però, del principio di integrazione, il DNSH appare decisamente più rigido: esso mira a garantire un livello minimo e inderogabile di protezione ambientale, indipendentemente dal tipo di attività svolta e dalla sua rilevanza economica o sociale.

Il valore aggiunto di questo principio, adunque, sembrerebbe consistere in una maggiore (e rinnovata) attenzione al dato tecnico-scientifico e nel rafforzamento del principio di prevenzione. Peraltro, è evidente la capacità del DNSH, in quanto principio, di espandersi sia in ampiezza orizzontale che in profondità verticale: con riferimento al primo profilo, infatti, il DNSH è sempre più “richiesto” (e applicato) in molteplici settori strategici per la crescita economica degli Stati membri dell’UE, non solo se si guarda al PNRR ma anche se si volge lo sguardo ai Fondi Strutturali Europei 2021-2027; quanto al secondo profilo, non può tacersi circa il fatto che la verifica di conformità DNSH è altamente pervasiva, essendo obbligatoria per qualsiasi misura, indipendentemente dalla previsione di impatti negativi significativi sugli ecosistemi.

Nel settore dei contratti pubblici, questo si traduce pure nel fatto che gli impegni presi dalle Amministrazioni, in sede di autovalutazione DNSH, devono essere tradotti in precise avvertenze e monitorati fin dai primi atti riferibili alla misura fino al collaudo/certificato di regolare esecuzione degli interventi o alla conclusione delle attività. Costituisce, a titolo esemplificativo, valore aggiunto l’esplicitazione degli elementi essenziali necessari all’assolvimento del DNSH nei decreti di finanziamento e negli specifici documenti tecnici di gara, eventualmente prevedendo meccanismi amministrativi automatici che comportino la sospensione dei pagamenti e l’avocazione del procedimento in caso di mancato rispetto del DNSH stesso. Allo stesso modo, nelle gare d’appalto, sarà utile che i documenti d’indirizzo alla progettazione (così come la lex specialis nel suo complesso) fornisca indicazioni tecniche per l’applicazione progettuale delle prescrizioni finalizzate al rispetto del DNSH; analogamente i documenti di progettazione, capitolato e disciplinare dovrebbero riportare indicazioni specifiche affinché sia possibile riportare anche negli stati di avanzamento dei lavori una descrizione dettagliata sull’adempimento delle condizioni imposte dal rispetto del principio de quo.

Del resto, il valore aggiunto del principio DNSH sta proprio nel maggior ossequio al dato tecnico-scientifico, cui è ancorata la valutazione, e al potenziamento del principio di prevenzione, grazie al vincolo applicativo generalizzato, non tipologico. DNSH che, nei fatti, contribuisce a definire i caratteri e, al contempo, la causa di giustificazione dello stesso intervento nell’economia di matrice europea, perché garantisce un sostegno finanziario già conformato ad alcuni obiettivi ambientali per investimenti che, altrimenti, non si sarebbero realizzati.

Vero è che, nella pratica, le P.A., a livello nazionale, spesso si limitano a recepire le indicazioni contenute nella Guida DNSH, in quanto i bandi e i contratti di finanziamento obbligano i soggetti attuatori a svolgere, pena la decadenza dal beneficio, a svolgere la procedura di autovalutazione secondo le indicazioni della Guida medesima (pur in assenza di alcun carattere vincolante). Circostanza questa registrata più volte in via pretoria (da ultimo nella pronuncia in commento), ove si rileva come le Amministrazioni – titolari del finanziamento – recepiscono proprio i contenuti della Guida (pure per il mezzo della lex specialis), ma loro carattere cogente. Tuttavia, non può tacersi, sul punto, come il dato giurisprudenziale confermi anche il fatto cha la P.A. può certamente sempre discostarsi dai contenuti autovalutativi della Guida de qua, purché motivatamente, lasciando quindi intendere che qui non è tanto necessario il rispetto di una predefinita griglia di criteri del DNSH, quanto piuttosto la sua ratio (il principio, per l’appunto, di non arrecare danno all’ambiente, misurabile in concreto per il mezzo di plurimi indicatori purché idonei allo scopo).  

Ed è forse da tale prospettiva che è maggiormente sentita la necessità di una definitiva positivizzazione del principio in esame. Sul punto, il d.lgs. n. 152/2006 – nel fare propri i principi comunitari di tutela ambientale a cui devono uniformarsi sia il potere pubblico, nella sua attività di normazione ovvero di esercizio delle funzioni amministrative, sia i privati nelle proprie attività economiche e di vita quotidiana – non contempla ancora espressamente il DNSH. Ora, sebbene la mancanza di un riferimento formale non ne compromette certo né la rilevanza né l’applicabilità, è lecito comunque chiedersi se, in una prospettiva futura di riforma, non sia opportuno positivizzare esplicitamente il principio in oggetto. Ciò, peraltro, permetterebbe di indirizzare con maggiore certezza – negli ambiti supra descritti – l’azione dei poteri pubblici nazionali, già orientata alla tutela ambientale, alla solidarietà tra generazioni e allo sviluppo sostenibile, anche in relazione agli obiettivi stabiliti dalla tassonomia ambientale. Circostanza, invero, necessaria qualora si intendesse applicare il DNSH, quale principio per l’appunto, anche al di fuori delle disposizioni che ne prevedono espressamente l’applicazione (inter alia, gli affidamenti PNRR), superando così anche quelle criticità evidenziate in dottrina quanto alla natura di mero criterio del DNHS in esame (checché la portata stessa della regola insita nel concetto “do not significant harm”, sul piano ambientale, rechi in sé una vis espansiva tale, come visto, da superare i confini formali del Regolamento Tassonomia, straripando su tutte le valutazioni ambientali, anche in assenza di espresso riferimento ad esso). 

Del resto, nel contesto della transizione ecologica, l’intervento statale in ambito economico si conforma sempre più al principio di non arrecare danni significativi agli obiettivi ambientali, indipendentemente dalla natura delle risorse impiegate. Questo processo spinge, inevitabilmente, a qualificare i criteri di sostenibilità ambientale come veri e proprio vincoli strutturali all’esercizio della stessa discrezionalità amministrativa (come bene emerge dagli spunti pretori offerti nelle prime pronunce sul tema); cambiamento, questo, destinato a persistere ben oltre la scadenza del PNRR.

 

 Il DNSH, in particolare, fa la sua comparsa a novembre 2019 nel Regolamento (UE) 2019/2088 relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (disclosure di sostenibilità). Esso, infatti, introduce, per tutti i partecipanti al mercato finanziario e per i consulenti finanziari, l’obbligo di comunicare come i rischi di sostenibilità siano considerati e integrati nelle loro scelte di investimento e quale considerazione assumano gli impatti negativi sui fattori di sostenibilità nei loro processi e nelle loro politiche di impegno. Più nel dettaglio, il considerando 17, con riferimento agli  “investimenti sostenibili”, specifica che «le imprese che beneficiano di tali investimenti rispettino prassi di buona governance e sia assicurato il principio di precauzione teso a non arrecare danni significativi, affinché non sia pregiudicato in maniera significativa né l’obiettivo ambientale né quello sociale». L’art.2, par.1, n. 17, del regolamento cit. (dove si fornisce la definizione di “investimento sostenibile”) non reca poi, però, una definizione di “danno significativo”. Sul rapporto DNSH e sostenibilità pure finanziaria, si veda M. Delsignore, Il principio DNSH e la lotta al greenwashing, in Federalismi.it, 2024, 27.

 Il GD europeo è una strategia di contrasto al cambiamento climatico lanciata dall’UE nel dicembre 2019. L’atto che ne tratteggia le linee essenziali è, di fatto, una Comunicazione della Commissione, un documento di policy, intitolato per l’appunto Green Deal europeo COM(2019)640. L’esordio della comunicazione illustrativa del GD cattura subito il senso della roadmap: «ogni anno […] l’atmosfera si riscalda e il clima cambia. Degli otto milioni di specie presenti sul pianeta un milione è a rischio estinzione. Assistiamo all’inquinamento e alla distruzione di foreste e oceani. Il Green Deal europeo è la risposta a queste sfide. Si tratta di una nuova strategia di crescita mirata a trasformare l’UE in una società giusta e prospera, dotata di un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra in cui la crescita economica sarà dissociata dall’uso delle risorse». In dottrina, tra i contributi più recenti, si veda D. Bevilacqua, Il Green New Deal, Milano, 2024; Id. Il green deal, l’economia circolare e lo “stato conformatore”, in RGE online, 2023, 38; Id., La normativa europea sul clima e il Green New Deal, in Riv. trim. dir. pubb., 2022, 297 ss.; D. Bevilacqua, E. Chiti, Green Deal, costruire una nuova europa, 2023, Il Mulino; E. Chiti, Verso una sostenibilità plurale? La forza trasformatrice del Green Deal e la direzione del cambiamento giuridico, in Riv. Quadr. Dir. Amb., 2021, 3; A. Moliterni, Il Green Deal europeo e le sfide per il diritto dell’ambiente, in Riv. Quadr. Dir. Amb., 2022, 34 ss.

 D. Bevilacqua, Il Green New Dealop. cit., 44 ss.; G. Monti, Four options for a greener competition law, in Journal of European Competition Law & Practice, 2020, 11, 124 ss.; A. Gerbrandy, The difficulty of conversations about sustainability and European competition law, in Antitrust Chronicle, 2020, 12, 62 ss.; K. Pouikli, Towards mandatory Green Public Procurement (GPP) requirements under the EU Green Deal: Reconsidering the role of public procurement as an environmental policy tool, in ERA Forum, 2021, 21.

 Questo quanto evidenziato pure da D. Bevilacqua, Il Green New Dealop. cit., 31 ss. Sul punto, si vedano anche le riflessioni di F. De Leonardis, Lo stato ecologico, Torino 2023; A. Moliterni, La transizione alla green economy e il ruolo dei pubblici poteri, in G. Rossi, M. Monteduro (a cura di), L’ambiente per lo sviluppo. Profili giuridici ed economici, Torino, 2020, 55 ss.; M. Cocconi, La regolazione dell’economia circolare. Sostenibilità e nuovi paradigmi di sviluppo, Milano, 2020; E. Frediani, Lo sviluppo sostenibile: da ossimoro a diritto umano, in Quad. cost., 2017, 3, 626 ss.

 L’EGD opera, difatti, in maniera assai differente rispetto agli strumenti tradizionali delle politiche ambientali europee, operanti secondo lo schema determinato dagli artt. 191 e 192 TFUE, con particolari conseguenze sul principio di “no harm” secondo A. Sikora, European Green Deal, op. cit., 687 ss. che conclude l’analisi della riconducibilità all’ordinamento europeo del programma sostenendo che «what the EGD fails to address and explore is the constitutional dimension of environmental protection in the EU legal order. Constitutional entrenchment of environmental protection seems to be precisely a missing point of the EGD». 

 Pare opportuno evidenziare che, a livello internazionale, esistono nozioni analoghe al DNSH. Un esempio è il tema dei sussidi dannosi per l’ambiente: nell’ambito della biodiversità, la Convenzione di Kunming-Montreal (art. 18) mira espressamente a identificare ed eliminare finanziamenti destinati ad attività che ne compromettono la tutela.

 Cfr. F. Torres, The European Green Deal: More than an Exit Strategy to the Pandemic Crisis, a Building Block of a Sustainable European Economic Model, in Journal of Common Market Studies, 2021, 170 ss.; C. Hamilton, Earthmasters: The Dawn of the Age of Climate Engineering, 2021, Yale University Press; B. Tonoletti, Cambiamenti climatici come problema di diritto pubblico universale, in Riv. Giur. Amb., 2021, 37 ss.

 Il famoso rapporto Brundtland del 1987 (“Our Common Future”) ha definito come “sostenibile” lo sviluppo capace di soddisfare le necessità del presente senza compromettere le opportunità delle generazioni future. L’idea è ripresa esattamente dagli artt. 3 e 11 del T.F.U.E.. Queste norme, infatti, fanno degli imperativi della sostenibilità e dell’integrazione l’architrave della tutela ambientale, in chiave sistemica. I due macro-principi di che trattasi ambiscono ad impedire che, durante la coevoluzione dei due sistemi “società” e “ambiente”, un pericoloso scarto si insinui, nel tempo e nello spazio, tra la scala delle azioni, dei processi e delle responsabilità umane e la scala dei processi e delle dinamiche ambientali. Da qui discendono due necessità simmetriche: la cautela e l’apprendimento. Ed è a questa logica che rispondono i principi di prevenzione, precauzione, intervento alla fonte, responsabilizzazione del potenziale inquinatore, condivisione delle informazioni. Si veda M. Cafagno, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente. Come sistema complesso, adattivo, comune, 2007, Torino, 102 ss.; R. Ferrara, La tutela dell’ambiente e il principio di integrazione: tra mito e realtà, in Riv. Giur. Urb., 2021, 2, 16 ss.; S. Grassi, La tutela dell’ambiente nelle fonti internazionali, europee ed interne, in Federalismi.it, 2023; M. Onida, Il diritto ambientale dell’UE nel tempo, tra agenda europea e politiche nazionali, in Federalismi.it, 2020. 

 Il T.U.E. stabilisce, all’art. 5, che nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, “la Comunità interviene secondo il principio di sussidiarietà”. In altri termini, il principio non fissa stabilmente la titolarità formale delle funzioni, ma vale a dislocarne l’esercizio verso l’alto o verso il basso in rapporto alla natura delle questioni in gioco. La sentenza della CGUE, 25 maggio 2023, n. 575 ha, ad esempio, ritenuto che, in applicazione del principio di sussidiarietà, spettasse agli Stati la fissazione delle soglie o dei criteri utili a stabilire in concreto l’entità dell’impatto ambientale dei progetti ai fini dell’applicazione degli artt. 4 e 11 della Direttiva 2014/52/UE in tema di VIA. Il Consiglio europeo ha messo limpidamente a fuoco il punto in un passo della Risoluzione sul V Programma di azione ambientale che «combina il principio della sussidiarietà con il concetto più ampio di condivisione delle responsabilità. Quest’ultimo concetto non si basa tanto sulla scelta di operare ad un livello ad esclusione degli altri, ma piuttosto sulla scelta di combinare gli strumenti e gli attori a diversi livelli, senza per questo voler rimettere in questione la divisione delle competenze tra Comunità, gli Stati membri e le autorità regionali o locali. Per un singolo obiettivo o problema l’accento può essere posto a livello della Comunità, nazione, regione e per un altro a livello regionale, locale, settoriale oppure a livello di aziende, collettività, consumatori». In dottrina, si veda F. Fonderico, La disciplina comunitaria dell’ambiente, in Rassegna parlamentare, 2003, 4, 961 ss.; Id., Sesto programma d’azione per l’ambiente e le strategie tematiche, in Riv. giur. amb., 2007, 5, 695 ss.; R. Giuffrida, F. Amabili (a cura di), La tutela dell’ambiente nel diritto internazionale ed europeo, 2018, Torino. 

 Firmato nel 1986, l’Atto Unico di che trattasi integrò il Trattato CEE con disposizioni finalmente dedicate all’ambiente, che fecero della protezione ambientale una componente essenziale del processo di integrazione europea (artt. 130r-130t). Le scelte dell’Atto Unico, non a caso, furono poi confermate nel Trattato di Maastricht del 1992, che elevò la tutela dell’ambiente a competenza formale e dichiarata dell’Unione, consacrando l’obiettivo dello sviluppo sostenibile e codificando i principi fondamentali in materia. 

 M.C. Carta, Il Green Deal europeo. Considerazioni critiche sulla tutela dell’ambiente e le iniziative di diritto UE, in Eurojus, 2020; M. Faioli, Sul significato sociale della dimensione europea, in Federalismi.it, 2019; F. Munari, Do Environmental Rules and Standard Affect Firms’ Competitive Ability?, in European Papers, 2019, 207 ss.; R. Ferrara, Brown economy, green economy, blue economy: l’economia circolare e il diritto dell’ambiente, in Dir. e Proc. Amm., 2018, 801 ss.

 Anche alla luce delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza eurounitaria, pare corretto misurare la proporzionalità in ragione dell’obiettivo di elevato livello di tutela: CGUE, 07 settembre 2004, in causa C-127/02, cit. Il principio secondo cui, «in linea generale la tutela dell’ambiente ha trovato anticipata applicazione rispetto all’evento dannoso con l’introduzione, nell’ordinamento, del principio di precauzione (art. 174, § 2, del Trattato CE, oggi art. 191, § 2 Trattato FUE, art. 301 codice dell’ambiente), in forza del quale per ogni attività che comporti pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione», ad esempio, è affermato da Cons. di Stato, sez. IV, 7 maggio 2021, n. 359. Nel senso della stretta necessità della misura, in tema sanitario e ambientale, cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655; Id., sez. IV, 28 febbraio 2018, n. 1240, tutte in giustizia-amministrativa.it.

 In dottrina, M. Monteduro, Le decisioni amministrative nell’era della recessione ecologica, in Rivista AIC, 2018, 37 ss.; P. Lombardi, Ambiente e generazioni future: la dimensione temporale della solidarietà, in Federalismi.it, 2023; M. Cecchetti, Diritto ambientale e conoscenze scientifiche tra valutazione del rischio e principio di precauzione, in Federalismi.it, 2022.

 Sui principi, in particolare, si vedano le riflessioni di F. Fracchia, I principi generali nel codice dell’ambiente, in Riv. quad. dir. amb., 2021, 3, 4 ss.; Id., L’ambiente nella prospettiva giuridica, in F. Cuturi (a cura di), La natura come soggetto di diritti. Prospettive antropologiche e giuridiche a confronto, 2020, Firenze, 159 ss.; Id., La tutela dell’ambiente come dovere di solidarietà, in Dir. econ., 2009, 491 ss. Si veda anche F. Fonderico, La tutela dell’ambiente, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, 2003, Milano, 1021 ss.; Id. La “codificazione” del diritto dell’ambiente in Italia: modelli e questioni, in Riv. trim. dir. pubbl., 2006, 612 ss.; F. Giampietro, I principi ambientali nel d.lgs. n.152/06: dal T.U. al Codice dell’ambiente ovvero le prediche inutili?, in Ambiente e sviluppo, 2008, 6; D. Sorace, Tutela dell’ambiente e principi generali sul procedimento amministrativo, in R. Ferrara, M.A. Sandulli (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente. I procedimenti amministrativi per la tutela dell’ambiente, 2020, Milano, 3 ss.; F. Lorenzotti, B. Fenni (a cura di), I principi del diritto dell’ambiente e la loro applicazione, 2015, Napoli; S. Grassi, Ambiente e Costituzione, in Riv. quadr. dir. amb., 2017, 4 ss.; R. Ursi, La terza riforma della Parte II del Testo unico ambientale, in Urb. e app., 2011, 13 ss.; F. De Leonardis, Le trasformazioni della legalità nel diritto ambientale, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, 2021, Roma, 123 ss.; R. Ferrara, I principi comunitari della tutela dell’ambiente, in Dir. amm., 2005, 509 ss.; M. Renna, I principi in materia di ambiente, in Riv. dir. amb., 2012, 70 ss., che evidenzia come, in particolare, «la sussidiarietà è servita a far sì che la Comunità potesse attrarre verso l’alto e, di conseguenza, svolgere competenze normative che al livello più basso, ossia al livello degli Stati membri, non potevano essere o, comunque, non erano svolte adeguatamente, a motivo, in particolare, delle dimensioni degli obiettivi da realizzare e delle competenze da esercitare»; G. Tesauro, Manuale di diritto dell’Unione europea, 2021, Napoli, 170 ss.; P. Dell’Anno, Principi di diritto ambientale internazionale ed europeo, 2004, Milano; Id., Il ruolo dei principi del diritto ambientale europeo: norme di azione o norme di relazione?, in Gazzetta Ambiente, 2003, 131 ss.

 La CGUE ha chiarito che l’art. 191, par. 2, TFUE, che contiene il principio in parola, «è rivolto all’azione dell’Unione e non può essere invocato dai provati al fine di escluderne l’applicazione di una normativa nazionale emanata in una materia rientrante nella politica ambientale, quando non sia applicabile nessuna normativa dell’UE adottata in base all’art. 192 TFUE che disciplini specificamente l’ipotesi di cui trattasi» (CGUE, 13 luglio 2017, n. 129/16).

 Il Comitato economico sociale europeo ha riassunto in poche efficaci battute detto principio vale a dire: «il principio di precauzione presenta tre componenti fondamentali: la precauzione richiede anzitutto maggiori sforzi volti ad accrescere le conoscenze; la precauzione presuppone la creazione di strumenti di vigilanza scientifica e tecnica per identificare le nuove conoscenze e comprenderne le implicazioni; la precauzione comporta infine l’organizzazione di un ampio dibattito sociale in merito a ciò che è auspicabile e ciò che è fattibile» (parere su “Il ricorso al principio di precauzione”, 2020, Bruxelles). Secondo T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 17 febbraio 2016, n. 2107, in giustizia-amministrativa.it, il principio di precauzione non può divenire «un canone di interpretazione della normativa di settore» con l’effetto di sottoporre la realizzazione dell’impianto a prescrizioni molto più severe di quelle previste dalla legge pur quando non vi sia una incertezza scientifica circa i rischi legati a una determinata attività»; è solo «la mancanza di certezze scientifiche dovute a insufficienti informazioni e conoscenze scientifiche riguardanti la portata dei potenziali effetti negativi di un organismo o di una sostanza che impone l’adozione di misure adeguate al fine di evitare o limitare effetti potenzialmente negativi». Si veda anche M. Allena, Il principio di precauzione: tutela anticipata v. legalità-prevedibilità dell’azione amministrativa, in Dir. econ., 2016, 411 ss.; S. Cognetti, Precauzione nell’applicazione del principio di precauzione, in Scritti in memoria di Giuseppe Abbamonte, 2019, Napoli, 387 ss.

 Anche il primato della, diversa, “prevenzione” è costantemente affermato dalla giurisprudenza della CGUE. Si pensi, recentemente, alla sentenza della Corte del 17 aprile 2018 (Commissione c. Repubblica d Polonia) ove, in tema di protezione della biodiversità, si è stabilito che « l’articolo 12, paragrafo 1, lett. a) e d) della direttiva 2009/147/CE impone agli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari ad istituire un regime di rigorosa tutela delle specie animali»; regime che presuppone «l’adozione di misure coerenti e coordinate di carattere preventivo».

 Come evidenziato in dottrina, «il concetto di “danno significativo”, o meno, risulta assolutamente vago: siamo, dunque, di fronte ad un concetto giuridico indeterminato, il cui contenuto è sostanzialmente lasciato alla discrezionalità tecnica delle autorità che sono chiamate ad applicare il criterio». A. Bartolini, Green Deal europeo e il c.d. principio DNSH, in Federalismi.it, 2024, 2. Si veda anche D. Bevilacqua, Il Green New Dealop. cit., 237 ss., ove l’Autore evidenzia che «in futuro avrà un ruolo chiave il modo in cui verrà interpretato il concetto di “danno significativo”: su questo punto riprende vigore la  discrezionalità del soggetto attuatore, quindi dalle amministrazioni nazionali, ma questa a sua volta sarà condizionata, di volta in volta, dagli organi giudiziari coinvolti in eventuali dispute».

 B. De Witte, The european union’s Covid 2019 recovery plan: the legal engineering of an economic policy shift, in Common Market Law Review, 2021, 635 ss. Si veda anche A. Averardi, Potere pubblico e politiche industriali, Iovene, Napoli, 2018, 122 ss.; L. Butti, S. Nespor, Il diritto del clima, Milano, Mimesis, 2022, 89 ss.; A. Bonomo, Il potere del clima. Funzioni pubbliche e legalità della transizione ambientale, Cacucci, Bari, 2023, 13 ss.; L. Salvemini, Il nuovo diritto dell’ambiente tra recenti principi e giurisprudenza creativa, Torino, Giappichelli, 2022, 145 ss.

 F. Rolando, L’attuazione del principio di integrazione ambientale nel diritto dell’Unione europea, in DPCE online, 2022, 3, 23 ss.

 Cfr. C. Sabel, D.G. Victor, Fixing the climate strategies for an uncertain world, Princeton University Press, 2022.

 In dottrina, si veda D. Bevilacqua, Il Green New Dealop. cit., 89 ss.

 B. Tonoletti, I cambiamenti climatici come problema di diritto pubblico universale, in Riv. Giur. Amb., 2021, 37 ss.; E. Bruti Liberati, Politiche di decarbonizzazione, costituzione economica europea e assetti di governance, in Dir. Pubb., 2021, 415 ss.; F. Rolando, L’attuazione del Green Deal e del Dispositivo per la ripresa e resilienza: siamo effettivamente sulla strada per raggiungere la sostenibilità ambientale?, in Dir. Un. UE, 2022.

 Ai sensi del Regolamento supra, il primo piano di lavoro dovrà essere adottato dalla Commissione entro il 19 aprile 2025 e dovrà dare precedenza ai prodotti che hanno un impatto ambientale maggiore, ex plurimis: ferro e acciaio, alluminio, prodotti tessili, detergenti, vernici e sostanze chimiche.

 Il Passaporto Digitale del Prodotto è uno strumento che, nella logica del Regolamento citato, consente di raccogliere, in maniera accurata, completa e aggiornata, informazioni sul prodotto e sul suo ciclo di vita, dalla sua realizzazione alla fine della sua vita utile al fine di promuovere la trasparenza e la sostenibilità della supply chain.

 Preme evidenziare come sulla natura di “principio” del DNSH non vi è uniformità di vedute. Secondo A. Bartolini, op. ult. cit., il principio DNSH sarebbe in realtà «ontologicamente un criterio di selezione dei danni significativi o non significativi all’ambiente: per cui a fini di chiarezza espositiva occorrerebbe finirla con usare il termini principio e sostituirlo con il termine criterio». Secondo l’Autore, il DNSH potrebbe essere inquadrato quale “condizionalità ambientale” ossia rientrante in quegli «obblighi gravanti tra stati o comunque tra autorità pubbliche, per cui un determinato vantaggio è condizionato all’avverarsi di determinati comportamenti o attività da parte dell’altra, avvicinandosi sostanzialmente allo schema dell’onere […]. Tra le condizionalità ambientali in senso ampio introdotte dal dispositivo di ripresa e resilienza (c.d. recovery fund) vi è anche l’implementazione del criterio DNSH». Cfr. pure P. Casalino, La fase di prima attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza: gestione, monitoraggio e controllo, principi trasversali e condizionalità per il corretto utilizzo delle risorse europee, in Riv. Corte Conti, 2021, 5, 5 ss.

 Non è questa la sede per una trattazione di dettaglio del principio in parola. Tuttavia, preme evidenziare qui come lo stesso sembrerebbe essere, come bene evidenziato in dottrina, una diretta applicazione del principio di sostenibilità, in quanto tende a coniugare la tutela dell’ambiente con quella dello sviluppo economico e in qualche modo collegabile a quello di non regressione; cfr. F. De Leonardis, Lo stato ecologico, 2023, Torino, 262 ss. Sul punto, si veda anche F. Spera, Da valutazione “non arrecare un danno significativo” a “principio DNSH”: la codificazione di un nuovo principio europeo e l’impatto di una analisi trasversale rivolto al futuro, in I Post di ASIDUE, 2022, IV.

 Si veda, sul punto, T.A.R. Lazio, Roma, sez. V, 08 ottobre 2024, n. 17304, in giustizia-amministrativa.it.

 A ben vedere, il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza, come meglio si dirà nel seguito, non stabilisce una definizione di questo principio, ma rinvia all’atto che lo ha effettivamente introdotto: il Regolamento Tassonomia. Secondo il regolamento in esame, un’attività è considerata “ecocompatibile” se non arreca un danno significativo ad uno dei sei obiettivi ambientali definiti dall’art. 9 (ex aliis, la mitigazione dei cambiamenti climatici; l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine; la transizione verso un’economia circolare; la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento; ecc.). Per ognuno di essi, l’art. 17 descrive le attività che determinerebbero un danno significativo, chiarendo che l’impatto ambientale deve essere valutato tenendo conto dei prodotti e servizi forniti durante il loro intero ciclo di vita.

 I. Costanzo, La valutazione di conformità al principio “Do No Significant Harm” (DNSH), in Giorn. dir. amm., 2023, 5, 676 ss.; G.M. Caruso, Il principio “do no significant harm”: ambiguità, caratteri e implicazioni di un criterio positivizzato di sostenibilità ambientale, in La Cittadinanza europea, 2022, 2, 151 ss.

 T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 5 giugno 2019, n. 543, in giustizia-amministrativa.it, secondo cui «in realtà, per il principio di precauzione, è possibile e doveroso applicare valori limite più conservativi di quelli in vigore, qualora l’impianto inquinante disponga della tecnologia idonea, o possa esserne dotato con una spesa ragionevole, e la gestione dell’attività rimanga economicamente sostenibile»; si è comunque affermato (T.A.R. Molise, sez. I, 15 marzo 2017, n. 82) che, «poiché la complessità dei sistemi ecologici non permette di avere un quadro completo delle conoscenze, né di prevedere con esattezza lo sviluppo delle dinamiche dei sistemi», il principio di precauzione «richiede che si agisca avendo sempre come riferimento lo scenario più prudente tra quelli possibili, vale a dire quello che corrisponde all’attuale livello di dubbio nella conoscenza delle situazioni e nella previsione dei fenomeni futuri».

 Si veda, nello specifico, A. Bartolini, Green Deal europeo e il c.d. principio DNSH, in Federalismi.it, 2024, 15, 51 ss.

 In termini G. Cordini, P. Fois, S. Marchisio (a cura di), Diritto ambientale. Profili internazionali, europei e comparati, 2017, Torino, 144 ss.

 M.C. Verciano, La discrezionalità del potere nella lotta al cambiamento climatico, in Federalismi.it, 2023, 3. In particolare, secondo l’A. sembra che il Green Deal europeo non rifletta affatto la «più alta ambizione possibile», richiesta dall’Accordo di Parigi nella pianificazione delle quote di abbattimento delle emissioni in una prospettiva di DNSH e ciò in quanto mancherebbe il parametro quantitativo e temporale del Carbon Budget globale residuo. Detta circostanza renderebbe la previsione europea viziata su quattro fronti: (i) in termini di irragionevolezza, «dato che il Regolamento non assume espressamente, come parametro di riferimento, il Carbon Budget globale residuo, allo scopo di calcolare il proprio»; (ii) per conseguente irrazionalità, poiché qualsiasi mitigazione climatica, anche quanto funzionalizzata a un obiettivo autoreferenziale come la neutralità climatica, «consiste pur sempre in un’appropriazione di quote del Carbon Budget globale residuo, sicché ignorarlo non vuol dire escluderlo»; (iii) per ulteriormente connessa illogicità, in quanto la previsione di bilancio è proiettata sulla finestra temporale 2030-2050  cioè quando il Carbon Budget globale residuo sarà già esaurito, come ormai pacificamente accertato dalla comunità scientifica; (iv) per consequenziale contrarietà con il principio DNSH, in quanto «prevedere un bilancio tardivo e inutile implica praticamente andare incontro a decisioni e azioni significativamente difformi dal contenuto di mitigazione climatica, indicato dall’art. 1 del Regolamento Ue n. 2020/852, e per ciò stesso dannose».

 Cfr. in dottrina i rilievi di U. Barelli, Il PNRR ed il principio “Do not significant harm”, in RGA on line, 2023, 39 e di I. Costanzo, La valutazione di conformità al principio do not significant harm (DNSH), in Giorn dir. amm., 2023, 676 ss.

 Si veda, recentemente, in argomento G. Morbidelli, I principi eurounitari e la legge n. 241/1990: quale rapporto?, in A. Bartolini, T. Bonetti, B. Marchetti, B.G. Mattarella, M. Ramajoli (a cura di), La legge n. 241 del 1990trent’anni dopo, 2021, Torino, 34 ss.

 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 febbraio 2018, n. 1240: «il Collegio ritiene che il principio di precauzione: a) i cui tratti giuridici si individuano lungo un percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi-carattere necessario delle misure adottate, presuppone l’esistenza di un rischio specifico all’esito di una valutazione quanto più possibile completa, condotta alla luce dei dati disponibili che risultino maggiormente affidabili e che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura; b) non può legittimare un’interpretazione delle disposizioni normative, tecniche ed amministrative vigenti in un dato settore che ne dilati il senso fino a ricomprendervi vicende non significativamente pregiudizievoli; c) non conduce automaticamente a vietare ogni attività che, in via di mera ipotesi, si assuma foriera di eventuali rischi per la salute delle persone e per l’ambiente, privi di ogni riscontro oggettivo e verificabile, richiedendo esso stesso una seria e prudenziale valutazione, alla stregua dell’attuale stato delle conoscenze scientifiche disponibili, dell’attività che potrebbe ipoteticamente presentare dei rischi, valutazione consistente nella formulazione di un giudizio scientificamente attendibile».

 Come efficacemente evidenziato da D. Bevilacqua, Il Green New Dealop. cit., 237 ss., «in futuro avrà un ruolo chiave il modo in cui verrà interpretato il concetto di “danno significativo”: su questo punto riprende vigore la discrezionalità del soggetto attuatore, quindi dalle amministrazioni nazionali, ma questa a sua volta sarà condizionata, di volta in volta, dagli organi giudiziari coinvolti in eventuali dispute».

 La tendenza espansiva dei principi ambientali trova una espressa conferma nel dettato dell’art. 3 quater del d.lgs. n. 152/2006, ove si riconosce allo sviluppo sostenibile il rango di principio potenzialmente applicabile a tutte le attività umane concernenti l’ambiente e alle scelte amministrative ambientali. In particolare, ai sensi del comma 2, il principio va rispettato anche ove non si faccia questione di interventi pubblici specificamente destinati alla tutela dell’ambiente.

 Il Regolamento ha classificato le attività economiche ai fini della loro ecosostenibilità, individuando con chiarezza sia gli obiettivi ambientali da perseguire sia i criteri di vaglio tecnico da rispettare nel riconoscimento dei finanziamenti e degli investimenti delle attività economiche. Sul punto si veda L. Lionello, Il Green Deal europeo. Inquadramento giuridico e prospettive di attuazione, in Vita e Pensiero, 2022; A.S. Bruno, Il PNRR e il principio del “Do Not Significant Harm” davanti alle sfide territoriali, in Federalismi.it, 2022; C. De Vincenti, Il principio “Do Not Significant Harm”: due possibili declinazioni, in Astrid, 2022.

 Con l’Accordo di Parigi, adottato il 12 dicembre 2015 (ed entrato in vigore il 4 novembre 2016) nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC), è stato convenuto di mantenere l’aumento della temperatura media mondiale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali, proseguendo gli interventi volti a limitare tale aumento a 1,5°C. L’obiettivo di intensificare l’impegno globale a favore del clima, gettando le basi per una transizione rapida, giusta ed equa, sostenuta da profondi tagli alle emissioni e dal potenziamento degli investimenti nel settore ambientale, è stato sottoscritto dai Paesi partecipanti alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (“COP 28”), svoltasi negli Emirati Arabi Uniti dal 30 novembre al 12 dicembre 2023. Nell’ambito della successiva “COP29” di Baku, per quanto qui di immediato interesse, è stato previsto lo stanziamento di 300 miliardi l’anno in aiuti climatici (quello che in termini tecnici è il New Collective Quantified Goal, il “Nuovo Obiettivo Quantitativo Globale” 2025-2035) che dovrebbero arrivare in quota crescente entro 11 anni in forma di sovvenzioni a fondo perduto o in prestiti a basso tasso di interesse, in finanza pubblica e privata mobilitata, con i Paesi sviluppati nel ruolo di leader. Si badi bene, tuttavia, che qui non è rinvenibile alcun vincolo giuridico: l’accordo, da tale angolo visuale, resta un’astratta aspirazione, pure per i Paesi più vulnerabili agli effetti della crisi climatica. L’occasione, quindi, è mancata anche laddove si consideri il testo dell’art. 9 dell’Accordo di Parigi, ove si prevede che «le Parti che sono paesi sviluppati forniscono risorse finanziarie per assistere le Parti che sono paesi in via di sviluppo per quanto riguarda sia la mitigazione che l’adattamento, continuando ad adempiere agli obblighi ad essi incombenti in virtù della convenzione». 

 Con riferimento a tale aspetto, in relazione al rispetto del principio DNSH, si veda T.A.R. Marche, sez. I, 31 gennaio 2024, n. 118, in giustizia-amministrativa.it.

 La Guida, in particolare, per come aggiornata dalla circolare del MEF n. 22 del 14.05.2024, fornisce una disamina di dettaglio pure degli aspetti più pratici qui esaminati. La Guida, infatti, che si compone – tra l’altro – di Schede tecniche relative a ciascun settore di intervento, ha la funzione di fornire alle amministrazioni titolari delle misure PNRR e ai soggetti attuatori, una sintesi delle informazioni operative e normative che identificano i requisiti tassonomici, ossia i vincoli DNSH e nelle quali sono riportati i riferimenti normativi, i vincoli DNSH e i possibili elementi di verifica. Si consideri che la circolare si premura di specificare che la Guida in oggetto non ha carattere vincolante, specificando che «la Guida è uno strumento di orientamento e supporto. Rimane in capo alle Amministrazioni titolari la responsabilità di assicurare la conformità ai requisiti DNSH degli interventi finanziati, anche tramite la trasmissione di indicazioni puntuali ai soggetti attuatori in sede di monitoraggio e rendicontazione dei traguardi e obiettivi (milestone e target) e in sede di verifica e controllo della spesa».

 Si consideri che il Regolamento Delegato (UE) 2021/2139 della Commissione del 04 giugno 2021 integra il Regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio fissando i criteri di vaglio tecnico che consentono di determinare a quali condizioni si possa considerare che un’attività economica contribuisce in modo sostanziale alla mitigazione dei cambiamenti climatici o all’adattamento ai cambiamenti climatici e se non arreca un danno significativo a nessun altro obiettivo ambientale. Detto Regolamento è stato integrato dal Regolamento Delegato (UE) 2023/2485 che introduce criteri di vaglio tecnico supplementari per gli obiettivi climatici per nuove attività economiche non previste nel precedente documento.

 Questo è il caso, a titolo meramente esemplificativo, dell’investimento relativo all’efficientamento energetico delle cittadelle giudiziarie (Missione 2 Componente 3 del PNRR), per il quale è stato esplicitato come la misura non comporti emissioni di gas ad effetto serra (GHG) significative in quanto gli edifici non sono dedicati all’estrazione, stoccaggio, trasporto o produzione di combustibili fossili e, soprattutto, come il programma intenda, invece, aumentare l’efficienza energetica, portando a un sostanziale miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici già esistenti interessati.

 Peraltro, si segnala come investimenti e attività PNRR non devono: produrre significative emissioni di gas ad effetto serra, tali da non permettere il contenimento dell’innalzamento delle temperature di 1,5 C° fino al 2030 (sono pertanto escluse iniziative connesse con l’utilizzo di fonti fossili); essere esposte agli eventuali rischi indotti dal cambiamento del clima, quali ad es. innalzamento dei mari, siccità, alluvioni, esondazioni dei fiumi, nevicate abnormi; compromettere lo stato qualitativo delle risorse idriche con una indebita pressione sulla risorsa; utilizzare in maniera inefficiente materiali e risorse naturali e produrre rifiuti pericolosi per i quali non è possibile il recupero; introdurre sostanze pericolose, quali ad es. quelle elencate nella cosiddetta Authorization List del Regolamento UE n. 1907/2006 c.d. “Reach”; compromettere i siti ricadenti nella rete Natura 2000.

 Metodologia, quest’ultima, applicata anche per l’iniziativa “REPower EU”, che si innesta sul Dispositivo per la ripresa e resilienza per dare una risposta all’eccessiva dipendenza dell’UE dalle importazioni di gas, petrolio e carbone dalla Russia e a fronte delle perturbazioni del sistema energetico mondiale. Il Regolamento (UE) 2023/435 del 27 febbraio 2023 individua gli obiettivi specifici di questa iniziativa, le fonti di finanziamento e conferma le modalità di valutazione delle proposte di misure già adottate per i PNRR. Viene in questo contesto confermato il principio DNSH che continua ad applicarsi alle riforme e agli investimenti, al netto di una specifica deroga per le misure che contribuiscono a migliorare le infrastrutture energetiche per soddisfare il fabbisogno immediato di sicurezza dell’approvvigionamento (e che non può riguardare più del 30% dei costi totali stimati delle misure incluse nel capitolo REPowerEU.

 R. Bifulco, Nascita di un principio? la tormentata formazione del do no significant harm, in RGA online, 2024. L’Autore evidenzia come «mentre nel regolamento Tassonomia il DNSH è applicato nei confronti delle attività economiche, nel regolamento sul dispositivo esso trova un’applicazione per ogni misura, sia che si tratti di riforme sia che si tratti di investimenti. Inoltre queste due tipologie di attività possono concernere, a loro volta, diversi livelli, come lo sviluppo di piani di investimento (progetti per la ricarica delle batterie per autoveicoli), orientare investimenti pubblici (investimenti in materia di impianti per il trattamento dei rifiuti), indirizzare e incentivare investimenti privati (si pensi agli schemi per dirottare fondi verso progetti a sostegno dello sviluppo nella transizione verso l’idrogeno). Dunque, all’interno del regolamento sul dispositivo, il principio è utilizzato nella maniera più trasversale possibile».

 Adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015, essa fissa gli obiettivi di sviluppo sostenibile (c.d. “OSS”) con riguardo alle sue tre dimensioni: economica, sociale e ambientale.

 In giurisprudenza, si veda anche Cons. Stato, sez. VI, 23 dicembre 2024, n. 10317, in giustizia-amministrativa.it.

 Aspetto che colloca il DNSH, de facto, all’interno dell’architettura normativa europea, rendendolo complementare ad altri principi cardine, come quello di integrazione ambientale e le cosiddette “garanzie minime”, con l’obiettivo di contrastare il cambiamento climatico. Di conseguenza, qualsiasi incertezza sull’ambito di applicazione del DNSH non è lasciata alla discrezionalità dei singoli poteri, ma è soggetta all’interpretazione della Corte di Giustizia dell’UE per garantire un’applicazione uniforme. 

 T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 04 marzo 2024, n. 263, in giustizia-amministrativa.it.

 Su DNSH come condizionalità imposta dal dispositivo per la ripresa e resilienza v. P. Casalino, La fase di prima attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza: gestione, monitoraggio e controllo, principi trasversali e condizionalità per il corretto utilizzo delle risorse europee, in Riv. Corte Conti, 2021, 5, 10 ss.

 Al momento sono stati adottati CAM per 24 tipologie di forniture e affidamenti: arredi per interni (d.m. 254/2022); arredo urbano (d.m. 07 febbraio 2023); ausili per l’incontinenza (d.m. 24 dicembre 2015); calzature da lavoro e accessori in pelle (d.m. 17 maggio 2018); carta (d.m. 04 aprile 2013); cartucce (d.m. 17 ottobre 2019); edilizia (d.m. 256/2022); eventi culturali (d.m. 347/2022); illuminazione pubblica (fornitura e progettazione; d.m. 27 settembre 2017); illuminazione pubblica (servizio; d.m. 28 marzo 2018); illuminazione e raffrescamento/riscaldamento per edifici (d.m. 07 marzo 2012); infrastrutture stradali (d.m. 279/2024); lavaggio industriale, noleggio di tessili (d.m. 09 dicembre 2020); prestazione energetica (d.m. 12 agosto 2024); pulizie e sanificazione (d.m. 51/2021); rifiuti urbani e spazzamento stradale (d.m. 255/2022); ristorazione collettiva (d.m. 65/2020); ristoro e distributori automatici (d.m. 06 novembre 2023); servizi energetici per gli edifici (d.m. 07 marzo 2012); servizi energetici a prestazione per sistemi edifici-impianti (d.m. 12 agosto 2024); stampanti (d.m. 17 ottobre 2019); tessili (d.m. 07 febbraio 2023); veicoli (d.m. 17 giugno 2021); verde pubblico (d.m. 63/2020). Tutti questi decreti, peraltro, vengono aggiornati periodicamente sulla base dell’evoluzione tecnologica e di mercato.

 Sulla obbligatorietà dei CAM, ex plurimis, cfr. Cons. Stato, Sez. V, 05 agosto 2022, n. 6934: «la ratio dell’obbligatorietà dei CAM sta nell’esigenza di garantire che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma anche in quello di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, “circolari” e nel diffondere l’occupazione “verde”».

 In dottrina, ex aliis, si veda F. Di Giovanni, “Appalti verdi” e responsabilità sociale dell’impresa, in M. Pennasilico (a cura di), Contratto e ambiente. L’analisi “ecologica” del diritto contrattuale, Napoli, 2016, 63 ss.; F. De Leonardis, L’uso strategico della contrattazione pubblica: tra GPP e obbligatorietà dei CAM, in Riv. quadr. dir. amb., 2020, 3, 67 ss.; O. Hagi Kassim, Gli appalti verdi, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Torino, 2021, 509 ss.; G. Fidone, F. Mataluni, Gli appalti verdi nel Codice dei Contratti Pubblici, in Riv. quadr. dir. amb., 2016, 3; D. Bevilacqua, La normativa europea sul clima e il Green New Deal. Una regolazione strategica di indirizzo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2022, 2, 297 ss.; F. Fracchia, S. Vernile, I contratti pubblici come strumento dello sviluppo ambientale, in Riv. quadr. dir. amb., 2020, 2, 15 ss.; I. Baisi, Criteri di sostenibilità ambientale, in G.F. Cartei, D. Iaria (a cura di), Commentario al nuovo Codice dei contratti pubblici, Napoli, 2023, 426 ss.

 Si veda, ex aliis, il Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione adottato con decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e con il Ministro delle imprese e del Made in Italy del 03 agosto 2023, ove è confermata l’indicazione di revisionare e l’aggiornare i CAM vigenti nonché la definizione dei CAM su nuove categorie di appalti o concessioni.

 Si pensi alla realizzazione di impianti alimentati da energia fossile, i quali, astrattamente, possono ben essere conformi alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 152/2006 (in termini di VIA ad esempio); e però il mancato rispetto del principio DNSH precluderebbe comunque al progetto l’accesso al finanziamento con fondi pubblici.

 A differenza, a titolo esemplificativo, della VIA, ove il rispetto del principio di integrazione si manifesta proprio nella ponderazione di plurime istanze – ambientali e non – rilevanti per la scelta. Si rileva, qui, a differenza del DNSH, un carattere compromissorio, che non si risolve tout court nella inibizione di opere e progetti che abbiano impatti negativi sull’ambiente. In buona sostanza, nel procedimento di che trattasi, l’interesse ambientale è sì vincolante ma non predominante rispetto ad altre istanze, di guisa che esso può essere modulato a seconda del peso che assume in specifici contesti e tempi. 

 Si veda anche I. Costanzo, Il principio do no significant harm (DNSH) nel processo di transizione ecologica: un itinerario di riflessione, in Riv. it. dir. pubb. com., 2023, 4, 702 ss.

 Si veda, sul punto, la Comunicazione della Commissione 2021/C58/01 con riferimento al valore probatorio ai fini DNSH del positivo espletamento delle procedure VIA e VAS.

 La VIA, invero, costituisce culla di molteplici principi del diritto ambientale, in specie quello di prevenzione e di integrazione. Quest’ultimo, in particolare, prevede che nella definizione e nell’attuazione delle politiche e delle azioni dell’UE siano tenute in debita considerazione le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente. A livello applicativo, il principio de quo si traduce nell’obbligo, nel procedimento, di valutazione dell’interesse ambientale. Se così perimetrato, è facile coglierne la continuità con il principio DNSH, in quanto, analogamente al principio di integrazione, esso mira ad integrare la valutazione dell’interesse ambientale nelle scelte economiche e di sviluppo, al fine di realizzare le condizioni per uno sviluppo sostenibile. Sul punto I. Costanzo, op. ult. cit., 710 ss.

 Ancorché buona parte dei requisiti DNSH siano previsti dalla normativa nazionale, si evidenzia, tuttavia, come alcuni elementi specifici potrebbero non essere previsti nell’istruttoria dei procedimenti citati (ad esempio alcuni obiettivi ambientali, quai la mitigazione dei cambiamenti climatici o l’adattamento ai cambiamenti climatici che non sempre rientrano nella prassi). In altri casi, gli interventi previsti potrebbero addirittura non prevedere autorizzazioni ambientali.

 Si veda, sul punto, Cons. Stato, sez. IV, 05 agosto 2024, n. 6966, in giustizia-amministrativa.it.

 A differenza del procedimento di VIA, ad esempio, ove il provvedimento di compatibilità ambientale è emanato, a seconda dei casi previsti dalla legge, a livello regionale o statale, qui pure con il coinvolgimento di una Commissione tecnica di verifica ad hoc

 Cfr., sul punto, la Guida DNSH.

 Da tale prospettiva si apprezza anche la differenza, in punto procedurale, con la VIA: mentre la verifica DNSH si applica orizzontalmente a tutte le misure finanziabili tramite il Dispositivo per la resilienza, la VIA riguarda solamente tipologie di interventi espressamente individuate dalla normativa. Stante l’obiettivo della neutralità climatica fissato dal GD, peraltro, molti progetti individuati dal d.lgs. n. 152/2006 negli Allegati rilevanti (es. raffinerie o attività di perforazione) sarebbero, alla luce del DNSH, non autorizzabili.

 Aspetto questo, invero, poco fondato, in quanto una valutazione assoluta è richiesta, a ben vedere, solo quando esiste un’alternativa praticabile dal punto di vista tecnologico ed economico. In assenza di tale alternativa, è certamente possibile dimostrare la conformità al DNSH adottando le migliori tecnologie disponibili nel settore per minimizzare l’impatto ambientale dell’investimento/opera.

 Si veda, sul punto, I. Costanzo, op. ult. cit., 711 ss.

 Come chiarito anche nella Guida DNSH, per assicurare il rispetto dei vincoli DSNH in fase di attuazione è opportuno che le Amministrazioni titolari di misure e i soggetti attuatori: (i) indirizzino, a monte del processo, gli interventi in maniera che essi siano conformi inserendo gli opportuni richiami e indicazioni specifiche nell’ambito degli atti programmatici di propria competenza, tramite per esempio l’adozione di liste di esclusione e/o criteri di selezione utili negli avvisi per il finanziamento di progetti; (ii) adottino criteri conformi nelle gare di appalto (o procedure di affidamento) per assicurare una progettazione e realizzazione adeguata degli interventi; (iii) raccolgano le informazioni necessarie per la rendicontazione di ogni singola milestone e target nel rispetto delle condizioni collegate al principio del DSNH e definiscano la documentazione necessaria per eventuali controlli. Cfr. A. Bartolini, Green Deal europeo e il c.d. principio DNSH, in Federalismi.it, 2024, 15, 51 ss.

 G.M. Caruso, Il principio “do non significant harm”: ambiguità, caratteri e implicazioni di un criterio positivizzato di sostenibilità ambientale, in La cittadinanza europea, 2022, 2, 141 ss.

 T.A.R. Lazio, Roma, sez. V ter, 26 marzo 2024, n. 5923, in giustizia-amministrativa.it.

 Cfr. U. Barelli, Il principio DNSH e il nuovo criterio DNSH, in RGA online, 2023, 39; F. Spera, Da valutazione “non arrecare un danno significativo” a “principio DNSH”: la codificazione di un nuovo principio europeo e l’impatto di una analisi trasversale rivolto al futuro, in I Post di ASIDUE, 2022, 4.

 Sul punto, la stessa Guida DNSH costituisce solo un tentativo (nobile e di indubbia utilità) di indirizzare l’attività dei funzionari amministrativi, attualmente sforniti non solo di un chiaro quadro legislativo a regolazione del principio in esame, ma anche di strategie per valutare con consapevolezza e competenza l’effettiva sostenibilità degli interventi da attuare. 

 Si ricorda che l’obbligo di non arrecare un danno significativo nasce, invero, al di fuori del diritto ambientale e dei Piani, collocandosi nell’ambito della regolazione della finanza privata. Cfr. R. Ferrara, La valutazione di impatto ambientale fra principio di precauzione e DNSH (do no significant harm): spunti di riflessione, in Riv. giur urb. 2024, 12.



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