Nel confronto competitivo dell’Europa con Stati Uniti e Cina l’ultima settimana non è vissuta solo dello psicodramma sui dazi.
Due le principali novità nell’intelligenza artificiale (IA) per l’Europa, il terreno forse dove la concorrenza tra stati è stata più accesa negli ultimi anni.
La posizione dell’Europa nell’AI Report di Stanford
Per rendere lo stato della competizione tra nazioni, il dato tradizionalmente più citato del rapporto annuale dell’Università di Stanford è quello degli investimenti privati.
Investimenti
Con 109 miliardi di dollari di investimenti privati registrati nel 2024, gli Stati Uniti hanno rafforzato la propria posizione alla testa del gruppo, 11,7 volte davanti alla Cina (9,7 miliardi di dollari di investimenti) e ben 24,1 volte il Regno Unito (4,52 miliardi di dollari).
A sorpresa la Svezia si piazza quarta con ben 4,34 miliardi di dollari ma l’Unione europea nel suo insieme è ben distante con la Francia che si attesta a 2,62 miliardi, la Germania a 1,97, l’Austria a 1,51, l’Olanda a 1,09 e l’Italia, che compare per la prima volta in classifica, ultima tra i primi quindi paesi con 860 milioni.
In ogni caso l’Europa, nell’accezione più larga comprendente anche il Regno Unito, fa un bel salto in avanti a 19,42 miliardi di dollari complessivi, più del doppio dell’ammontare raccolto dalla Cina con 9,29 miliardi (ma pur sempre meno di un quinto rispetto agli Stati Uniti, Paese più piccolo per popolazione e poco più grande per PIL). La differenza si allarga notevolmente se si guarda solo all’IA generativa, la vera novità degli ultimi anni. L’Europa con 1,49 miliardi di dollari si fa superare dalla Cina (2,11 miliardi) e vede lontanissimi gli Stati Uniti (29,04 miliardi).
Se si guarda alle startup finanziate per la prima volta, la crescita degli USA risulta impressionante (con un sostanziale raddoppio tra 2022 e 2024, anno nel quale sono state ben 1143 a ricevere fondi ex novo) con l’Europa (comprendente sempre il Regno Unito che vale circa un quarto) che sale leggermente a 447 e la Cina che scende (di poco) a 109.
Innovazione
Passando alla frontiera dell’innovazione, rappresentata dai modelli fondazionali dell’IA generativa, si inverte di nuovo il rapporto tra Europa e Cina, con gli Stati Uniti che continuano a guidare ma sempre più tallonati dalla superpotenza asiatica. Se infatti nel 2024 gli USA hanno rilasciato 40 modelli giudicati notevoli dal rapporto di Stanford, la Cina ne ha sfornati 15 con l’Europa crollata a 3, tutti peraltro ascrivibili a Mistral AI, apparentemente l’unico player UE ancora in gara.
Mentre la Cina, che pure ha visto a sorpresa ergersi il proprio campione in DeepSeek, che ha risvegliato orgoglio nazionale e consapevolezza nei propri mezzi, può contare su diversi altri campioni, come d’altronde possono fare gli USA, l’unico Paese peraltro a posizionare nella classifica due soggetti non aziendali (il MIT e l’Università di Berkeley). Se poi si mette a confronto la performance dei migliori modelli americani con quelli cinesi ci si accorge che la differenza si è ridotta in un anno a un margine sottilissimo. Merito anche della capacità cinese, e in particolare di DeepSeek, di efficientare al massimo addestramento e inferenza, minimizzandone i costi a quasi parità di prestazione.
Tra l’altro unendo questa caratteristica con quella di rilasciare modelli open weight, DeepSeek sta facendo fare il salto di qualità alla Cina anche nell’adozione dell’IA, quantomeno di quella generativa. L’Europa invece si trova del tutto dipendente dai modelli americani, molti dei quali peraltro proprietari (con l’eccezione maggiore rappresentata da quelli di Meta).
Dunque, se gli Stati Uniti stanno investendo somme enormi e la Cina compie veri e propri miracoli con risorse più contenute (ma potendo contare sul mercato unico più grande al mondo oltre al principale pool di ingegneri e informatici, che peraltro contrariamente a prima le politiche repressive delle ultime amministrazioni americane hanno tenuto a casa anziché acquisirne le competenze), l’Europa si trova in una pericolosa terra di mezzo. Tre soli i modelli europei censiti e tutti francesi.
Non si può dire che non sia nella partita ma, a parte le risorse umane (che comunque fa enorme fatica a trattenere sul proprio suolo per non dire ad attrarre), non sembra disporre al momento di alcun reale vantaggio competitivo.
Il Piano d’azione della Commissione europea per l’intelligenza artificiale
A rispondere ai dubbi che emergono dalla lettura del rapporto di Stanford ci ha pensato indirettamente il piano d’azione AI Continent, presentato un paio di giorni dopo dalla Commissione europea e che già nelle prime righe dichiara, quasi a voler infondere coraggio, che la corsa all’intelligenza artificiale è tutt’altro che finita e l’Europa è ancora in gara.
Se il piano europeo non arriva a giochi fatti, certamente però avrebbe potuto essere più tempestivo, a ormai due anni e mezzo dal rilascio di ChatGPT, che ha innescato la rivoluzione dell’IA generativa. E considerato anche che la spinta propulsiva della strategia e del piano coordinato UE del 2018 si è ridotta per non dire esaurita già da diversi anni, nonostante un tentativo di rilancio nel 2021. Il problema è che nel frattempo si sono persi diversi treni, a cominciare dal budget pluriennale europeo che è ormai cristallizzato fino al 2027 e dal Next Generation UE, occasione non sfruttata a dovere.
I pilastri del piano
Il piano si basa su cinque pilastri: la capacità computazionale, i dati, le applicazioni settoriali, i talenti e le competenze e, infine, la semplificazione degli adempimenti previsti dall’AI Act.
Infrastrutture
Il primo filone è sicuramente quello dove più e meglio si è fatto negli anni scorsi, grazie prima all’iniziativa congiunta EuroHPC cofinanziata da Commissione europea e Stati membri e poi all’AI Innovation package lanciato nel gennaio 2024 con l’idea di creare capacità computazionale specializzata nell’IA con le cosiddette AI factory.
Ora, come anticipato da Ursula von der Leyen nel suo intervento all’AI Action Summit di Parigi dello scorso febbraio, l’UE rilancia il concetto con le gigafactory, ciascuna delle quali sarà dotata di almeno 100 mila processori di ultima generazione. Per finanziarle si punta a mobilitare attraverso il neocostituito InvestAI 20 miliardi di euro tra finanziamenti pubblici (europei e nazionali) e privati.
A confronto, gli altri filoni offrono maggiori novità ma anche più incertezze.
Dati
Sui dati si evoca una nuova strategia che sarà pubblicata nei prossimi mesi ma il fatto è che quella lanciata nel febbraio 2020 dalla prima Commissione von der Leyen è in larga parte fallita, se non per le molte centinaia di pagine di nuova regolazione prodotte. Si puntava a creare un sistema infrastrutturale prevalentemente europeo nonché una condivisione dei dati su larga scala in tutti i principali settori dell’economia. Non solo gli obiettivi non sono stati raggiunti ma siamo più distanti che mai.
Applicazioni
Sulle applicazioni dell’IA, si rimanda alla strategia AI Apply che vedrà la luce nella seconda metà dell’anno e per la quale è stata aperta una consultazione pubblica. Che tra l’altro interroga chi intenderà parteciparvi sulle sfide generate dall’AI Act e su come sia possibile ridurne gli oneri.
Semplificazioni
A fronte dei quali al momento si propone uno sportello di servizio sull’AI Act AI DESK per rispondere a eventuali dubbi delle imprese. Anche se la Commissione non si sbilancia, se non immaginando la possibilità di una compliance meno gravosa per le imprese più piccole, l’AI Act dovrebbe essere il piatto forte di un pacchetto di semplificazioni della regolamentazione digitale.
Competenze e talenti
Infine, su talenti e competenze, interessante l’atteggiamento più aggressivo sull’attrazione di talenti non europei, con l’istituzione di un programma di fellowship tra le varie misure previste. Probabilmente, con la non troppo nascosta speranza che le politiche repressive di Trump potrebbero spingere un certo numero di europei (e non solo) a fare ritorno nel vecchio continente (e tanti altri con la valigia in mano a non varcare l’Atlantico).
Le sfide
Come spesso accade con obiettivi e documenti strategici provenienti da Bruxelles, non sappiamo quanto di aspirazionale e quanto di concreto ed effettivamente realizzabile sia contenuto nel piano AI Continent. Certamente preoccupano due elementi. In primo luogo, la mancanza di qualsiasi elemento auto-critico su cosa e soprattutto perché non abbia funzionato finora, visto che siamo ormai a sette anni dalla prima strategia UE e dal seguente piano coordinato e dunque un bilancio sarebbe possibile farlo.
Ma impensierisce ancora di più che nel piano d’azione non sia previsto alcun meccanismo di governance per verificare che si stia procedendo nella direzione e alla velocità giusta. Così come per coordinare il piano d’azione UE con piani e strategie nazionali.
Gli scenari 2025 alla luce dei dazi
Alla luce dei dazi prima annunciati e poi in parte sospesi per 90 giorni, c’è da chiedersi quali impatti potrebbero aversi nel corso dell’anno.
Certamente, dopo il boom del 2024, alimentato dai valori di borsa in crescita, ad oggi sembra scontato che gli investimenti USA debbano necessariamente ridursi.
Investimenti esteri
Più difficile prevedere l’impatto sugli annunciati investimenti esteri, come ad esempio il progetto Stargate (sul quale c’erano comunque già in partenza numerose perplessità). Da un lato i dazi incoraggiano lo spostamento delle attività negli USA, dall’altro lo sgonfiamento delle quotazioni azionarie e presumibilmente del valore di imprese ancora non quotate come OpenAI così come l’apparente erraticità delle politiche dell’amministrazione americana lascerebbero pensare che gli effetti negativi potrebbero prevalere su quelli di segno opposto.
Di converso, è probabile che la Cina, almeno in termini di IA, non abbia molto da perdere dall’attuale situazione, a meno di una caduta drastica del mercato interno. Infatti, gli investimenti dall’estero, in particolare dagli USA, che avevano alimentato il boom dell’IA nel decennio scorso, sono ormai un ricordo di un passato lontano. Allo stesso tempo, i principali mercati delle aziende IA cinesi non sembrano a rischio e tutto lascia pensare che, dopo aver arginato e aggirato i controlli USA alle esportazioni, la Cina sia sulla buona strada per acquisire un livello tecnologico sufficiente a renderla indipendente dal rivale americano.
La posizione dell’Europa è invece decisamente più complessa, in quanto decisamente più esposta alle tecnologie USA. Ma la risposta protezionistica, proprio per questo, rischierebbe di essere un rimedio quantomai improvvido.
Come abbiamo scritto recentemente su Agenda Digitale, per aspirare concretamente a raggiungere una sufficiente competitività e dunque una vera e robusta sovranità nel digitale, l’Europa, oltre a investire in innovazione molto più di quanto stia facendo e a accelerare sulla strada di un mercato realmente unico, dovrebbe operare di fioretto più che di spada. Facendo di necessità virtù.
D’altronde, non è probabilmente un caso che l’impresa europea più competitiva nei modelli fondazionali dell’intelligenza artificiale generativa sia Mistral, figlia diretta del capitalismo tecnologico statunitense.
Grazie al quale, peraltro senza abbandonare l’Europa, i suoi fondatori, ovviamente con loro grandi meriti, si sono fatti le ossa e una parte consistente dei fondi per finanziarne l’impresa sono arrivati. Dunque, lo spettro dei dazi dovrebbe essere soprattutto l’occasione per investire di più e provare a conseguire quei vantaggi competitivi dei modelli americano e cinese, in particolare un mercato che sia realmente unico e che permetta alle migliori imprese innovative di casa nostra di scalare rapidamente trovando subito in Europa un grande mercato di sbocco.
Naturalmente, senza perdere i valori distintivi europei, mai come oggi sotto attacco e che forse non rappresentano un vantaggio economico ma sono pur sempre la base sulla quale ci reggiamo (e al momento una bussola decisamente più affidabile nei marosi della società moderna).
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