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Gli effetti dei dazi Trump sul settore agroalimentare— idealista/news


I dazi decisi dall’amministrazione Trump rischiano di avere pesanti ripercussioni per il nostro Paese che Oltre Oceano esporta quello che è considerato in tutto il mondo uno dei nostri punti di forza: il cibo. L’applicazione di un sovrapprezzo sulle merci che arrivano negli Usa dall’Italia si traduce per i consumatori americani in un prezzo maggiore per acquistare prodotti considerati ormai un simbolo della nostra Penisola: la pasta, l’olio, la passata di pomodoro, il formaggio e il vino. In pratica, una cena a lume di candela a base di spaghetti e un buona bottiglia di rosso potrebbe diventare un lusso da concedersi “ogni tanto”. 

Le imprese italiane si aspettano un’inevitabile caduta degli acquisti da parte degli americani: nel breve termine per il nostro Paese questa contrazione dei consumi negli Usa rappresenta un danno perché i tempi per poter incrementare le esportazioni in altri mercati ( altrettanto “golosi” di made in Italy) – non sono di certo brevi.

idealista/news ha intervistato Vittorio Cino, direttore generale di Centromarca, l’Associazione Italiana dell’Industria di Marca, a cui fanno riferimento circa 200 tra le più importanti industrie operanti nel settore dei beni di largo consumo, tra cui Amadori, Auricchio, Barilla, Bauli, Granarolo e Mutti, solo per citarne alcune.

Che cosa significa per il settore alimentare l’applicazione dei dazi decisa dall’amministrazione Trump? 

Abbiamo avviato un’indagine proprio per misurarne l’impatto e fornire dati utili in sede nazionale ed europea. Occorre precisare che nel settore del largo consumo il prezzo è una componente significativa. Le conseguenze però non dovrebbero essere omogenee: ogni merceologia ha specifiche dinamiche di esportazione, variabili produttive e commerciali. Siamo quindi andati a vedere quali sono i consumi attuali. 

Secondo la ricerca condotta da YouGov per Centromarca, circa la metà dei consumatori americani utilizza generi alimentari italiani: il 14% lo fa ogni settimana, il 25% mensilmente. Tra i prodotti usati abitualmente, nelle prime cinque posizioni ci sono pasta (50% di risposte), olio di oliva (46%), formaggi (38%), salse (37%) e vino (33%).

L’introduzione dei dazi renderà però questi prodotti più cari per i consumatori americani. Quale potrebbe essere l’impatto?

In merito all’ “effetto dazi” solo il 16% dei consumatori americani afferma di essere disposto a pagare di più per acquistare prodotti grocery italiani, il 48% afferma di essere disposto a spendere la stessa cifra che sborsa per altri prodotti, il 10% vorrebbe investire di meno mentre ben il 26% non è in grado di esprimere un’opinione precisa.

Sul totale di coloro che già oggi abitualmente acquistano prodotto di largo consumo made in Italy, il 47% dichiara che in caso di aumento dei dazi manterrebbe la quantità di prodotti italiani acquistati, mentre il30% la ridurrebbe. 

In termini di fatturato quanto pesano gli States come mercato di sbocco per l’Italia?

Secondo i dati elaborati da Nomisma per Centromarca  tra il 2023 e il 2024 l’incremento delle importazioni in termini di valore negli Usa è stato del 16%, da 8,5 a 9,9 miliardi di euro. L’alimentare è cresciuto da 6,8 a 8  miliardi di euro e i prodotti per la cura della casa e della persona da 1,7 a 1,9 miliardi di euro. Nel decennio 2014 – 2024 il fatturato complessivo è passato da 3,8 a 9,9 miliardi di euro, pari a una crescita del 161%.

Se si guarda solo all’andamento dello scorso anno, le analisi mostrano che nel 2024 il peso degli Usa sull’export italiano nel settore alimentare era pari al 12% e del 13% per i prodotti per la cura della casa e della persona. In questo quadro complessivo però, occorre precisare che alcune produzioni sono più esposte ai dazi: ad esempio, il 72% dell’export di sidro italiano ha come canale di sbocco gli States. A Ci sono poi le acque minerali (41%), l’olio di oliva(32%), gli aceti (30%), liquori (26%), vini fermi/frizzanti (25%), spumanti (24%), formaggi duri/semiduri (19%), profumi/fragranze (18%), pasta (16%), trucchi/prodotti di bellezza (15%) e le conserve di pomodoro (7%).  

Quale evoluzione potrà avere la situazione attuale?

La scelta statunitense di applicare i dati ha creato una frattura senza precedenti nel mercato globale: ci vorrà tempo e un’attività diplomatica di vasta portata per recuperarla. Come industria di marca non auspichiamo rappresaglie commerciali che inasprirebbero ulteriormente le tensioni internazionali.   Auspichiamo invece che l’Unione Europea possa avviare un’attività di negoziazione a tutto campo per tutelare gli interessi sociali ed economici della popolazione e delle imprese. Qualora invece dovesse rispondere con dazi o altre misure restrittive, si aprirebbe una possibile guerra commerciale che penalizzerebbe ulteriormente l’export verso gli Usa.  Le tensioni commerciali a quel punto avrebbero ricadute su occupazione, redditi e persino consumi interni nel nostro Paese. In questo momento la prudenza, e quindi il condizionale, è d’obbligo e potrebbero essere persino prematuro avanzare ipotesi. 

 



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