Il Polesine perde in 5 anni il 15,9% di imprese. Oltre 7mila gli addetti “introvabili”


ROVIGO – Domani si celebra la Giornata nazionale del Made in Italy nella sua seconda edizione, promossa dal Ministero delle Imprese e del made in Italy. La data del 15 aprile è quella della nascita di Leonardo Da Vinci, simbolo del genio e del talento italiano. 

Un Made in Italy che sta soffrendo una profonda crisi e che si sta interrogando su nuove strategie per combattere un mercato sempre più aggressivo e complesso, in cui i costi di gestione e dell’energia, la concorrenza, la spinta alla digitalizzazione e la necessità di sempre più consistenti investimenti sembrano mettere a dura prova il sistema economico italiano fatto principalmente da piccole e medie imprese.

Nel quinquennio 2019-2024 il comparto dell’artigianato manifatturiero in Veneto ha perso 3.919 imprese. Un dato che suona come un campanello d’allarme per il futuro del Made in Italy: in cinque anni, è come se ogni giorno avesse abbassato la saracinesca una bottega, un laboratorio, un’officina. Con loro se ne vanno competenze, maestria, legami col territorio. E il numero degli addetti – in calo del 13,6% – testimonia una contrazione che non è solo numerica, ma culturale e sociale. Se il Made in Veneto frena in termini di prodotto immesso sul mercato (in 5 anni il comparto perde il 13,2% delle imprese) parallelamente l’export dimostra una vitalità importante con un +22,4% rispetto al pre-covid per un valore di volumi esportati pari a 77,672 milioni di euro.

Il Polesine non è immune da questa morìa di imprese. Nello stesso quinquennio preso in considerazione dall’Ufficio Studi, ha perso il 15,9% di imprese, di cui artigiane ben il 18,8%. Nel 2019 le imprese erano 2.592 (di cui 1506 artigiane), nel 2024 2.181 (di cui 1223 artigiane). Una parte importante della crisi di molti settori è da imputare anche alla difficoltà di trovare manodopera. Attualmente a fine 2024 sono 12.270 gli addetti impiegati nel manifatturiero, ma ben 7.040 risultano difficili da reperire nonostante ce ne sia necessità, quindi oltre la metà (il 57,4%) delle domande restano inevase. 

L’export vale 1 miliardo 627milioni di euro, con una flessione rispetto al 2023 del -4,4%, mantenendo un trend negativo ogni anno dal 2019 ad oggi.

“Il Made in Polesine effettivamente non gode di buona salute – afferma il presidente di Confartigianato Polesine Marco Campion -. Navighiamo a vista con imprenditori che stanno attenti più a sopravvivere che ad investire. Abbiamo difficoltà di accesso al credito, troppa burocrazia, non troviamo personale. Eppure il mondo artigiano in particolare è quello che nel periodo post Covid ha dimostrato una maggiore resilienza, adattando anche la propria produzione ad un mercato sempre più digitale in cui anche le modalità di acquisto si sono evolute. Dovremmo fare un passo in avanti, modificare il nostro modo di fare impresa, cercando di fare rete, per diventare attrattivi e più competitivi. Ritengo che anche nel consumatore e nei clienti ci sia stato un grande cambiamento in termini di consapevolezza, di ricerca della qualità, di maggiori garanzie di processi e prodotti. L’artigianato in questo è favorito, perché ancorato alla tradizione con una spinta all’innovazione, innamorato del proprio lavoro prima ancora che del business, responsabile nei confronti del proprio cliente e attento a rispettarne le aspettative”.

I settori più in crisi in Polesine sono quelli dei macchinari che in 5 anni hanno perso il 23,8% delle imprese, mentre la moda, che detiene il maggior numero di imprese sul totale del manifatturiero, ne ha visto morire il 23,5%, passando da 875 aziende nel 2019 a 669 nel 2024. Anche il legno e arredo, dove un tempo il nostro territorio era molto rappresentativo di una notevole vitalità, oggi presenta una flessione del -19,1%. In calo anche gli alimentari e le bevande del -11%, con una flessione più pesante per le aziende artigiane che hanno toccato il -14,8%. 

“Complessivamente tutto il manifatturiero ha subìto un tracollo a due cifre negli ultimi 5 anni, tranne la metallurgia che resta al -5,1% e la gioielleria e bigiotteria che segna un -7,7%, dove solo l’artigianato ancora sembra aver retto senza scossoni – conclude l’analisi il presidente Campion -. Come Confartigianato stiamo programmando delle iniziative settoriali per cercare di offrire alle imprese nuovi strumenti per riuscire a leggere e interpretare il mercato e indirizzarle verso la digitalizzazione, l’internazionalizzazione e soprattutto la narrazione del valore aggiunto artigiano. Devono prima di tutto riuscire a raccontarsi, come storia d’impresa, come qualità e ricercatezza del prodotto, come capacità di offrire un servizio d’eccellenza. La nostra idea è quella proprio di valorizzare il Made in Polesine anche fuori dalla nostra provincia, sostenendo e rilanciando un territorio unico in cui il suo legame con la terra, con l’acqua, con una popolazione laboriosa e tenace diventino un patrimonio per la nostra economia. Per fare questo chi meglio dei giovani ci può aiutare? Le nuove generazioni sono abili utilizzatori della tecnologia e del racconto, dobbiamo affidarci a loro e promuovere il ricambio generazionale, facendoli innamorare del mondo artigiano”.





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