Svizzera, franco e case tornano ad essere il rifugio da Trump dei super ricchi. Invece le imprese vanno a produrre negli Usa


Nella turbolenza dei mercati scatenata dalla guerra commerciale di Trump, gli investitri cercano rifugio non solo nell’oro, ma anche nel franco svizzero. Non solo: i super ricchi Usa stanno spostando patromoni, ma anche le famiglie tra le montagne elvetiche. Mentre le maggiori imprese vanno a produrre negli Usa, come vuole il dictat di Trump

I mercati come si sa sono allergici all’incertezza. E che cosa c’è di più ondivago sui mercati internazionali in questo periodo di un dollaro e degli asset ad esso correlati? La sfida commerciale di Donald Trump annunciata, applicata e poi parzialmente rinviata ha fatto vacillare la fiducia negli Stati Uniti e gli investitori stanno prendendo vie diverse, rifugiandosi innanzitutto nell’oro, che ha registrato record su record salendo sopra i 1300 dollari l’oncia, ma anche nell’euro che è salito sopra 1,13 dollari. E poi c’è il franco svizzero, anch’esso ai massimi storici contro il dollaro, e le banche svizzere e la Svizzera stessa, visti come rifugio dalle proterve decisioni di Trump.

Così, mentre The Donald vorrebbe che le imprese mondiali facessero i bagagli e andassero ad avviare produzioni negli States, una recente inchiesta del Financial Time ha rilevato che invece una buona schiera di super-ricchi americani sembra stiano facendo l’esatto opposto: fuggono dagli Stati Uniti e guardano alla Svizzera come rifugio anti Trump. Così, con l’occasione di una sciata nelle lussuose Saint Moritz, Gstaat o Verbier, i multi miliardari statunitensi fanno un salto nelle banche di Ginevra o Zurigo per discutere con i loro direttori di come si può fare in questo momento così insicuro a causa dell’amministrazione Trump: studiare insomma un piano strategico d’emergenza.

Secondo quanto riferisce il Financial Times, banchieri privati, family office e gruppi di gestione patrimoniale hanno reso noto di aver registrato un forte aumento di clienti che desiderano aprire conti bancari e di investimento con sede nel paese elvetico, soprattutto se conformi alle norme fiscali statunitensi.

Josh Matthews, co-fondatore di Maseco, che fornisce servizi di gestione patrimoniale per gli americani all’estero, ha detto al FT che l’ultima volta che aveva visto questo tipo di interesse era stato durante la crisi finanziaria del 2008, quando si temeva il fallimento delle banche statunitensi dopo il crack di Lehman Brothers. Ora, ha aggiunto, sta accadendo lo stesso a causa “dell’incertezza generata dalla presidenza Trump”. Anche la banca privata ginevrina Pictet ha confermato di aver registrato un “aumento significativo” della domanda da parte di clienti statunitensi nuovi ed esistenti presso la sua filiale Pictet North America Advisors. Così i super-ricchi preferiscono portare almeno una parte del patrimonio nella fortezza svizzera, tradizionale porto rifugio nei momenti di instabilità. Da quel 2008, le autorità statunitensi hanno dato un giro di vite a decine di banche svizzere per aver aiutato gli americani a non pagare le tasse sfruttando le regole del segreto bancario del Paese, ma nel 2013 le banche svizzere si sono adeguate alle norme fiscali statunitensi aumentando la trasparenza e condividendo le informazioni sui titolari di conti statunitensi per evitare sanzioni legali. Così sono tornate ”appetibili” per i ricchi americani.

Oggi gli americani non possono semplicemente aprire un conto bancario in Svizzera, proprio a causa di normative come il Foreign Account Tax Compliance Act (Fatca), che obbliga le banche straniere a segnalare i titolari di conti statunitensi all‘Internal Revenue Service. Ma se un gestore patrimoniale o patrimoniale svizzero è registrato presso la Sec negli Stati Uniti, può aiutare i clienti ad aprire conti e a gestire il denaro. Pictet è uno dei più grandi operatori svizzeri con una divisione registrata presso la Sec. Molti clienti, spiegano i banchieri, cercano di diversificare i propri investimenti, allontanandosi dal dollaro statunitense, aprendo conti in Svizzera.

Il franco svizzero sale ai massimi storici contro il dollaro

Dopo aver mostrato segni di ripresa all’inizio della settimana, il dollaro ha iniziato a scivolare nuovamente verso i minimi della settimana precedente. Mercoledì il biglietto verde ha registrato un calo dell’1,2% rispetto al franco, scendendo a 0,8137 franchi. Il franco ha guadagnato terreno tra le valute G10, mentre l’euro ha visto un incremento del 5% da quando sono stati annunciati i dazi. Del resto la Svizzera gode di alcune caratteristiche che piacciono solitamente agli investitori: basso debito pubblico, bassa inflazione, settore immobiliare stabile.

Dove cercano casa i ricchi in Svizzera?

Una volta terminate le vacanze e aperto un conto bancario, l’idea di trasferire anche la residenza non è poi così lontana. E i super ricchi hanno già fatto clan in molte città elvetiche. Ma non in quelle più note, bensì in cittadine dai nomi non proprio a conoscenza di tutti, ma che hanno il grosso vantaggio di offrire agevolazioni fiscali: in Svizzera esiste un forte divario geografico per quanto riguarda l’imposta sul reddito, con l’onere fiscale più basso nei cantoni della Svizzera centrale. Secondo il quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung (NZZ per gli amici) nella sola città di Zugo vivono 376 milionari. Nei comuni limitrofi di Baar, Walchwil e Cham se ne contano altri 190 circa. Ma poi ci sono i piccoli comuni di Freienbach, Wollerau e Feusisberg, noti come paradisi fiscali, che ospitano rispettivamente 225, 216 e 120 milionari.

Sulla Borsa elvetica pende la spada dei dazi di Trump per i farmaceutici

L’investimento in Svizzera non si propaga invece sulla Borsa, soprattutto per l’incertezza persistente per via della spada di Damocle dei dazi promessi da Trump sui farmaci: le case farmaceutiche, che hanno un notevole peso sul listino elvetico, potrebbero vedere variazioni notevoli. L’Indice Swiss Market (Smi) include diverse società farmaceutiche dai pesi significativi: Roche che persa per il 15%, Novartis, per il 14,86%, Lonza per il 3,18% e Alcon per il 3,1%. Insieme raggiungono il 36% del listino. Trump ha già ventilato l’ipotesi di tariffe al “25% o superiori”.

I grandi gruppi farmaceutici comunque stanno vagliando diversi piani per poter affrontare questa eventualità. Novartis ha già annunciato investimenti per 23 miliardi di dollari per costruire ed espandere 10 stabilimenti negli Stati Uniti nei prossimi cinque anni. La concorrente farmaceutica Roche investirà negli Usa altri 10 miliardi. Ma questo approccio pro-Usa da parte delle imprese elvetiche si vede anche in altri suoi giganti come Nestlé, Rolex, Abb, Bühler, Stadler. Quest’ultima per esempio ha già detto che andrà a produrre treni negli Usa. In totale, la Camera di commercio svizzero-americana stima che verranno superati agilmente i cento miliardi, fino a sfiorare i 150: “Sono investimenti che in buona parte avremmo effettuato comunque” ha detto. La missione elvetica negli States implica anche l’istruzione professionale e l’addestramento per i loro nuovi dipendenti statunitensi. Proprio quello che vogliono i fautori della reindustrializzazione trumpiana.



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