Dazi Usa e riforma fiscale: gli strumenti per difendere l’export e diversificare. Con EY al Km Rosso


Al momento sono in vigore i dazi al 25% su acciaio, alluminio, e auto. Dal 3 maggio partono le tariffe al 25% anche sulla componentistica auto. I dazi globali su tutte le merci si applicano al 10% fino al prossimo 9 luglio. Da questa data, in mancanza di nuovi provvedimenti, torneranno invece le tariffe più alte sulle merci differenziate per paese che erano state annunciate il 9 aprile e sono state poi sospese per 90 giorni. E siamo alla diversificazione. Secondo Alessia Pastori, associate partner head of China & Cis Desk della multinazionale della consulenza, «le imprese possono sfruttare questi 90 giorni di pausa sui controdazi per capire che opportunità di diversificazione ci sono. La riflessione che va fatta da parte di un’azienda italiana, è quella di continuare a guardare ad ovest, perché gli Stati Uniti sono il nostro maggiore partner commerciale, ma anche di esplorare le opportunità dei mercati asiatici»: Cina, India, Giappone, Corea del Sud, e i paesi dell’Indocina o area Asean, quindi Singapore, Vietnam, Filippine, Indonesia, Thailandia, Malesia. Sono economie in forte crescita, nei confronti delle quali fra l’altro sono più alti i dazi annunciati dagli Stati Uniti anche in considerazione del fatto che si tratta di mercati attraverso quali passano le merci cinesi. Un aspetto molto importante su cui le aziende devono soffermarsi, oltre ai più tradizionali elementi di mercato, sono gli accordi bilaterali. Infine, gli Stati Uniti. Un elemento a cui prestare attenzione è la riforma fiscale dell’amministrazione di Donald Trump, in discussione al Congresso, che si prevede venga approvata nei prossimi mesi. Per le imprese che pensano di spostare la produzione, l’aspetto maggiormente rilevante è quello degli incentivi, sia federali sia dei singoli stati. Sono molti e in continuo divenire, per cui non è facile districarsi.

Tutti questi aspetti sono stati approfonditi nel corso di un evento dedicato ai Nuovi scenari americani e ai mercati globali, da un team di esperti del desk internazionale di Ernst and Young: Giancarlo Serrato, senior manager international Tax and Transaction Services di Ernst & Young, Grant Cooper, Us Emeia Inbound, Global Incentive Innovation and Location Services, Aurora Marrocco, partner Global trade (Italy) dello Studio Legale Tributario del colosso della consulenza, Alexia Pinter, partner Bts Leader, Alessia Pastori, associate partner head of China & Cis Desk, Marco Tamborini, director Financial & Accounting Advisory, Riccardo Giovanelli, senior manager Financial & Accounting Advisory, Federico Sartori, senior manager Business Tax Services, Filippo Tomov, senior manager Transfer Pricing. Il senior manager Grant Cooper esordisce con una battuta: «forse sono stato invitato qui per farmi lanciare dei pomodori. Quindi, mi scuso per tutto quello che stanno facendo gli Stati Uniti in questo momento. Non è stata colpa mia». Poi, più seriamente, aggiunge: «come leader aziendali sappiamo tutti che, quando ci sono cambiamenti di questo tipo, momenti di svolta così importanti, si crea anche un’opportunità per ottenere un vantaggio competitivo». Vediamo come.

Evento di EY al Km Rosso

Lavorando sulla classificazione nelle merci, sui prodotti in acciaio e alluminio si può calcolare il dazio solo sulle componenti in metallo

L’analisi delle regole e procedure doganali consente di mitigare l’impatto delle tariffe. Bisogna agire sui tre elementi fondamentali del diritto doganale, ovvero classificazione, valore e origine delle merci. I provvedimenti della Casa Bianca dettagliano tutti i codici delle merci a cui si applicano le tariffe. Qui è particolarmente complicata la questione in relazione ai dazi su acciaio e alluminio, che riguardano non solo le materie prime ma anche i prodotti realizzati con questi metalli. «Le autorità doganali Usa fanno molta attenzione alla classificazione, perché da questa discende la tassazione corretta. Fra i prodotti colpiti dai dazi sull’acciaio ci sono anche articoli di ferro, o di altri materiali – spiega Marrocco -. Esistono codici doganali definiti residuali, perchè ricomprendono in una categoria un insieme di prodotti di diversa natura. Un esempio emblematico è rappresentato da un codice, il 7326, nel quale rientra anche un portachiavi di plastica, perché ha una piccola parte in alluminio». Quindi, il primo passo che un’azienda deve fare è verificare la corretta classificazione delle merci. Poi, è possibile fare una sorta di tara. «Prendiamo un aratro. Il dazio del 25% si applica al valore della componente acciaio. Ma se non è possibile isolare questo valore, bisogna applicare l’aliquota all’intero bene. Un’altra operazione da eseguire è la verifica di componenti di origine Usa, che sono esonerate dal dazio».

Codici dazi acciaio. Le autorità doganali Usa fanno molta attenzione alla classificazione, perché da questa discende la tassazione corretta. Fra i prodotti colpiti dai dazi sull’acciaio ci sono anche articoli di ferro, o di altri materiali. Esistono codici doganali definiti residuali, perchè ricomprendono in una categoria un insieme di prodotti di diversa natura.

Sull’auto, sono in vigore dazi al 25% dallo scorso 3 aprile e riguardano berline, Suv, crossover, minivan, furgoni da carico e autocarri leggeri. A partire dal 3 maggio scatteranno invece le tariffe, sempre a 25%, sulla componentistica. Anche qui, c’è un elenco preciso di codici riferiti che bisogna studiarsi bene, ma tendenzialmente riguardano tutte le componenti: pneumatici, motori, trasmissioni, parti elettriche, contagiri, condizionatori. Ci sono possibilità di ottimizzazione, perché sono sempre esclusi i pezzi prodotti negli Stati Uniti. E le parti di automobili conformi all’Usmca, accordo Stati Uniti-Messico-Canada, sono esenti dalle tariffe fino a quando l’amministrazione Usa non stabilirà un processo per applicare i dazi al loro contenuto non di origine statunitense.

Descrizione codice alluminio. Un esempio emblematico è rappresentato da un codice, il 7326, nel quale rientra anche un portachiavi di plastica, perché ha una piccola parte in alluminio. Quindi, il primo passo che un’azienda deve fare è verificare la corretta classificazione delle merci. Poi, è possibile fare una sorta di tara.

Il duty no drawback consente di farsi rimborsare i dazi sui resi, la Foreign Trade Zone fa transitare le merci senza passare la dogana

Dopo aver lavorato sui codici doganali, e sull’origine delle merci, si può prestare attenzione a una serie di norme che consentono di intervenire sul loro valore. Un’impresa europea che ha molti resi dagli Stati Uniti può ricorrere al duty drawback, possibilità che invece gli executive order di Washington escludono per le merci che arrivano da Canada, Messico, e Cina. «Questo strumento consente chiedere a rimborso i dazi corrisposti all’importazione negli Stati Uniti, laddove successivamente gli stessi prodotti siano esportati, ovvero distrutti, o destinati ad altro paese. Per un’azienda che ha numerosi resi, potrebbe essere una misura da valutare», segnala Marrocco. Un’altra possibilità consiste nell’utilizzare la Foreign Trade Zones, una zona sita all’interno del territorio degli Stati Uniti, che però si considera al di fuori dei confini nazionali ed è progettata per agevolare l’importazione di merci pagando poi la dogana solo nel caso in cui le merci siano destinate al mercato americano. «In queste zone possono anche essere fatte delle lavorazioni, e quindi i beni possono essere introdotti e in parte anche fabbricati. Se poi la destinazione è un mercato estero, non si paga la dogana».

La Foreign Trade Zones è una zona sita all’interno del territorio degli Stati Uniti, che però si considera al di fuori dei confini nazionali ed è progettata per agevolare l’importazione di merci pagando poi la dogana solo nel caso in cui le merci siano destinate al mercato americano. In queste zone possono anche essere fatte delle lavorazioni, e quindi i beni possono essere introdotti e in parte anche fabbricati.

La first sale price rule riduce il prezzo delle merci a cui applicare le tariffe, il Reconciliation Program consente di correggere le bolle doganali

La first sale price rule consente invece di lavorare sul prezzo. «In una catena di transazioni, generalmente l’ultima vendita indica il valore che deve essere preso in considerazione all’atto di importazione. La first sale price rule, che ad esempio non è prevista per le importazioni nel territorio UE, negli Stati Uniti consente invece di indicare non il prezzo dell’ultima vendita, ma quello di un’operazione antecedente. Chiaramente le vendite devono essere reali, vanno valorizzate sulla base del principio dell’arm’s lenght», quindi in base a valori di mercato anche se il venditore e l’intermediario sono correlati. «Questa è un’opportunità in una supply chain all’interno della quale esiste un produttore iniziale che vende a un distributore e poi definitivamente ad un soggetto statunitense». Un’ultima ipotesi che l’esperta di EY propone è il Reconciliation Program, un istituto previsto dalle leggi americane che consente di rivedere alcuni elementi della dichiarazione doganale e può essere molto utile ad esempio nell’ipotesi in cui ci si trovi in un gruppo e il valore della transazione sia regolato sulla base di una policy di transfer pricing. «Queste pratiche possono implicare aggiustamenti successivi all’atto della movimentazione del bene e quindi all’importazione degli Stati Uniti».

La first sale price rule consente invece di lavorare sul prezzo. In una catena di transazioni, generalmente l’ultima vendita indica il valore che deve essere preso in considerazione all’atto di importazione. La first sale price rule, che ad esempio non è prevista per le importazioni nel territorio UE, negli Stati Uniti consente invece di indicare non il prezzo dell’ultima vendita, ma quello di un’operazione antecedente. Chiaramente le vendite devono essere reali, vanno valorizzate sulla base del principio dell’arm’s lenght.

Un focus di EY sui mercati asiatici: Cina, India, Indocina, Giappone, Corea del Sud

Lo scenario a dir poco mutevole impone comunque alle aziende anche riflessioni di più ampio respiro sulle policy di export, con la ricerca di nuovi mercati. Alessia Pastori fornisce una panoramica dei mercati asiatici, partendo da una considerazione. «Non pensiamo solo alla Cina, ma anche all’India, e a tutto il sud est asiatico. E partiamo dall’idea che una destinazione non esclude l’altra». Due elementi per impostare la strategia: fare analisi dettagliate del mercato di ogni singolo paese, e prestare una particolare attenzione ai trattati. «Un’azienda deve conoscere l’ambiente di business in cui va a operare: livelli di corruzione, sistema giudiziario, tempi di pagamento. E poi informarsi su tutti i trattati multilaterali e bilaterali. Intanto, perché anche i paesi asiatici prevedono dazi. Sul vino, ad esempio, la Cina ha una tariffa all’ingresso del 14%.

Pastori propone una carrellata che parte naturalmente dalla Cina. E’ già oggi la seconda destinazione delle merci italiane fuori dall’Europa, dopo gli Stati Uniti, con un valore dell’export di 15,3 miliardi. Mercato in continua crescita, è anche in continua evoluzione tecnologica e sempre più attrattiva per gli investimenti stranieri. Per contro, ha processi di importazione e catene distributive complesse e un quadro normativo a sua volta non agevole. Macchinari, prodotti farmaceutici, chimica, sono fra i prodotti in crescita per l’export italiano insieme ai più classici settori del Made in Italy come il fashion e il food and beverage.

L’India è considerata un po’ la nuova frontiera sia per gli investimenti sia per le esportazioni. Ha una popolazione di 1.4 miliardi di persone, quasi la metà al di sotto dei 25 anni, e una classe media con redditi in aumento. Nell’analisi delle opportunità proposta da EY vengono evidenziati elementi positivi per le imprese manifatturiere che intendono spostare la produzione. Il governo di Narendra Modi sta promuovendo programmi come “Make in India” e “Assemble in India for the world”, per trasformare il Paese in un hub manifatturiero globale, attira investimenti stranieri nel manufacturing, offre manodopera qualificata a costi competitivi, ha un fiorente ecosistema di start-up e una crescita importante nei pagamenti digitali, nell’ecommerce e nelle esportazioni di servizi a elevato valore. Settori di investimento: automotive, energie rinnovabili, macchinari per la smart factory, difesa. Punti a sfavore: 93esimo posto (su 180) nel Corruption Perception Index di Transparency International, infrastrutture ancora limitate soprattutto nei trasporti e nell’energia, lentezza della burocrazia, barriere tariffarie per diversi prodotti fra cui macchinari elettrici e altri apparecchi elettronici, mezzi di trasporto.

I paesi dell’area Asean, ovvero Thailandia, Malesia, Vietnam, Indonesia e Filippine hanno a loro volta una classe media in crescita, un livello di digitalizzazione crescente, economie in crescita. Pastori sottolinea che un buon punto di partenza per affacciarsi a quest’area è Singapore: «sta diventando il contraltare di Hong Kong. Ovviamente non basta una presenza a Singapore per coprire l’intero sud est asiatico, ma una sussidiaria in questa città stato può consentire di approcciare le regole dei vari paesi e consumatori a cui l’impresa intende rivolgersi». I settori in crescita sono aerospazio, IT, logistica e supply chain, elettronica, prodotti chimici, industria farmaceutica e biotecnologie. «Infine, due paesi importanti che vorrei menzionare sono il Giappone, che è la quarta economia del mondo, attira 8,2 miliardi di esportazioni dall’Italia, in questo momento è una vetrina molto importante con Expo 2025 a Osaka. E la Corea del Sud, con 6,2 miliardi di valore dell’export italiano».

Dati macro Asia

Il mercato Usa, fra guerra dei dazi e riforma fiscale. Per le imprese che vogliono spostare la produzione

Per quanto riguarda il mercato americano, Giancarlo Serrato e Grant Cooper propongono due considerazioni. La prima riguarda le molte aziende italiane che hanno una presenza anche solo commerciale negli Stati Uniti. Oltre ai dazi, l’appuntamento fondamentale è rappresentato dalla riforma fiscale dell’amministrazione Trump, che riguarderà anche le imprese. Cooper inquadra il contesto: «Nel 2017 Trump partì con la riforma fiscale e poi introdusse i dazi. Questa volta sta succedendo il contrario: è partito con i dazi, e poi (forse) farà la riforma fiscale. Questo crea incertezza, perché gli eventi avvengono in un ordine non ottimale». Questa riforma dovrebbe essere portata a termine entro l’estate ma le tempistiche sono fra gli elementi di incertezze ancora esistenti.



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