Le banche devono essere se stesse e porsi come priorità quella di erogare prestiti alle imprese, soprattutto alle pmi che compongono come se fossero vertebre la colonna industriale italiana. “Quello che interessa al governo” è che gli istituti di credito svolgano al meglio il loro mestiere, appunto erogando finanziamenti alle imprese, ha proseguito il titolare del Mef.
Il ragionamento implicito è semplice: le banche rappresentano da sempre la leva dell’economia reale e dello sviluppo, quindi devono tornare ad essere la realtà di riferimento per il territorio su cui insistono con le proprie filiali per accompagnare la crescita del Pil. Una sinergia che, secondo Giorgetti, evidentemente non sempre si realizza.
“Forse” le banche, ha infatti tuonato il ministro, “si dimenticano di fare quello per cui sono nate”, ora che le “tavole della legge” della concorrenza e la ricerca di sinergie ad ogni costo hanno concentrato le leve del credito nelle mani di una ristretta pattuglia di grandi banche nazionali o sovranazionali.
Insomma, per essere banche non basta macinare super profitti da dare in pasto ogni trimestre agli analisti finanziari e distribuire lauti dividendi ai soci. Il monito, uscito dalla bocca di Giancarlo Giorgetti da una kermesse organizzata dalla Lega, scuote il tavolo del risiko bancario che sta ridisegnando il sistema con ulteriori fusioni. Domani prende avvio l’Opa su Anima del Banco Bpm.
Nei piani dell’esecutivo, proprio il gruppo di Piazza Meda guidato da Giuseppe Castagna sarebbe dovuto essere insieme alla risanata Mps il perno del terzo polo bancario. Questo se la Unicredit di Andrea Orcel non fosse intervenuta, lanciandosi alla scalata dello stesso istituto milanese.
Tanto il vicepremier Matteo Salvini aveva subito criticato Unicredit, aggiungendo che ormai avesse “poco di italiano” considerando il suo azionariato internazionale e la sua ampia presenza in Germania. Nazione dove, peraltro, Orcel vuole crescere ancora, scalando Commerbank, malgrado il muro alzato dal governo tedesco.
Sempre con un chiaro riferimento al minacciato ricorso al golden power, cioè alla norma che consente al governo di porre il veto sul passaggio di mano degli asset ritenuti strategici, ieri Giorgetti ha aggiunto che se deve prendere una decisione, la sua stella polare sarà tutelare la “biodiversità” del sistema creditizio nazionale.
Perchè, ha proseguito il ministro dell’Economia, in questo complesso scenario internazionale il governo deve fare la sua parte come tutti e dare risposte agli imprenditori, così come è stato fatto con una prima parziale introduzione della flat tax per un “fisco giusto e semplice”.
Da parte nostra ci limitiamo a ricordare che in una economia che voglia dirsi davvero liberale, a comandare dovrebbe essere il mercato e non il protezionismo, le aziende di Stato cinesi o i dazi imposti da Donald Trump per riequilibrare il disavanzo commerciale degli Stati Uniti. E’ tuttavia altrettanto vero che, dopo la scomparsa delle grandi popolari uccise dal governo Renzi, le banche di territorio sono sempre di meno.
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In realtà andrebbe detto che, dimensione a parte, molto fa anche l’approccio industriale dei singoli istituti. Anche le grandi possono infatti essere “banche di sistema”. Una filosofia questa che per esempio Intesa Sanpaolo guidata da Carlo Messina non perde occasione di ribadire di stare perseguendo anno dopo anno con la propria politica di finanziamenti e prestiti a famiglie e imprese.
Mentre scriviamo in Piazza Affari Intesa Sanpaolo vale 85,4 miliardi in termini di capitalizzazione contro gli 82 miliardi di Unicredit. Ma se Orcel conquisterà Banco Bpm (che in Borsa vale 15 miliardi circa) il sorpasso su Intesa sarà inevitabile. A meno di una contromossa sul tavolo del risiko bancario-assicurativo da parte di Messina; naturalmente dopo l’assemblea dei soci chiamata a confermarlo al vertice di Ca de’ Sass.
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