(Teleborsa) – “L’Unione Europea ha garantito per decenni ai suoi cittadini pace, prosperità, solidarietà e, insieme all’alleato americano, sicurezza, sovranità e indipendenza. Questi sono i valori costituenti della nostra società europea. Questi valori sono oggi posti in discussione. La nostra prosperità, già minacciata dalla bassa crescita per molti anni, si basava su un ordine delle relazioni internazionali e commerciali oggi sconvolto dalle politiche protezionistiche del nostro maggiore partner. I dazi, le tariffe e le altre politiche commerciali che sono state annunciate avranno un forte impatto sulle imprese italiane ed europee”. È quanto ha affermato l‘ex presidente del Consiglio italiano e della Bce, Mario Draghi, durante una audizione al Senato sul suo Rapporto sul futuro della competitività europea.
“Il dato che meglio riassume la persistente debolezza dell’economia del nostro continente è la quantità di risparmio che ogni anno fuoriesce dall’Unione Europea: 500 miliardi di euro nel solo 2024, risparmi a cui l’economia europea non riesce a offrire un tasso di rendimento adeguato – ha sottolineato Draghi –. Il Rapporto analizza estesamente le cause strutturali di questa inadeguatezza. Oggi voglio soffermarmi su tre aspetti, che sono diventati ancora più urgenti nei sei mesi trascorsi dalla sua pubblicazione. Si tratta del costo dell’energia, della regolamentazione, della politica dell’innovazione”.
“Le decisioni a cui il Rapporto chiama l’Europa sono ancor più urgenti oggi quando la necessità di difendersi e di farlo presto è al centro dell’attenzione e delle preoccupazioni della maggioranza dei cittadini europei”. E “il ricorso al debito comune è l’unica strada – ha affermato Draghi –. Un’Europa che cresce finanzierà più facilmente un fabbisogno finanziario che ormai supera le previsioni del Rapporto. Un’Europa che riforma il suo mercato dei servizi e dei capitali vedrà il settore privato partecipare a questo finanziamento. Ma l’intervento dello Stato resterà necessario”, ha avvertito Draghi. E “gli angusti spazi di bilancio non permetteranno ad alcuni Paesi significative espansioni del deficit, né sono pensabili contrazioni nella spesa sociale e sanitaria: sarebbe non solo un errore politico – ha detto – ma soprattutto la negazione di quella solidarietà che è parte dell’identità europea, quell’identità che vogliamo proteggere difendendoci dalla minaccia dell’autocrazia”.
“Per rafforzare la competitività e rispondere al meglio alle nuove sfide – ha detto Draghi – l’Europa deve agire come fosse un solo Stato e i Parlamenti, europeo e nazionali, hanno un ruolo essenziale. Per attuare molte delle proposte presenti nel Rapporto, “l’Europa dovrà agire come se fosse un solo Stato. Questo può voler dire o una maggiore centralizzazione delle decisioni e delle capacità di spesa, oppure – ha detto Draghi – un coordinamento più rapido ed efficace tra i Paesi che, condividendo gli indirizzi di fondo, riusciranno a raggiungere i compromessi necessari per una strada comune. In ogni momento di questo processo i Parlamenti nazionali ed europeo avranno un ruolo essenziale. Le scelte che ci sono davanti sono di grande momento come forse non mai dalla fondazione dell’Unione Europea. La politica – e in particolare la politica interna di ogni Stato membro – ne sarà al centro. Costruiremo un’Europa forte e coesa perché ogni suo Stato è forte solo se è insieme agli altri e solo se è coeso al suo interno. La competitività e la difesa richiedono un aumento del bilancio europeo? “Sì, ma è anche necessario evitare gli sprechi, ce ne sono tanti anche in Europa” ha detto Draghi portando l’esempio della ricerca. “In Europa spendiamo la stessa percentuale sul pil degli Usa” per il settore, ma “lo facciamo in modo frammentato. Il nostro finanziamento manca di intensità”.
Costi energia – “Nei prezzi finali ai consumatori incide anche la tassazione, in Italia tra le più elevate di Europa. Nel primo semestre del 2024, l’Italia risultava il secondo Paese europeo con il più alto livello di imposizione e prelievi non recuperabili per i consumatori elettrici non domestici – ha rilevato Draghi –. Costi dell’energia così alti pongono le aziende, europee e italiane in particolare, in perenne svantaggio nei confronti dei concorrenti stranieri. È a rischio non solo la sopravvivenza di alcuni settori tradizionali dell’economia, ma anche lo sviluppo di nuove tecnologie ad elevata crescita – ha detto -. Si pensi ad esempio all’elevato consumo necessario per i data center. Una seria politica di rilancio della competitività europea deve porsi come primo obiettivo la riduzione delle bollette, per imprese e famiglie”. In tale scenario per Draghi è necessario accelerare sulle rinnovabili. “Occorre certamente accelerare lo sviluppo di generazione pulita e investire estesamente nella flessibilità e nelle reti. Ma occorre anche disaccoppiare il prezzo dell’energia prodotta dalle rinnovabili e dal nucleare da quello dell’energia di fonte fossile” ha affermato Draghi sottolineando la necessità che l’Italia su questo non aspetti le decisioni europee. “Non possiamo però unicamente aspettare le riforme a livello europeo. In Italia – ha spiegato Draghi – sono disponibili decine di gigawatt di impianti rinnovabili in attesa di autorizzazione o di contrattualizzazione. È indispensabile semplificare e accelerare gli iter autorizzativi, e avviare rapidamente gli strumenti di sviluppo. Questo abiliterebbe nuova produzione a costi più bassi di quella a gas, che rappresenta ancora in Italia circa il 50% del mix elettrico (a fronte di meno del 15% in Spagna e di meno del 10% in Francia)”. Sull’energia in Europa – ha proseguito – “dobbiamo sempre ricordarci che se vogliamo l’autonomia completa, la sovranità sul nostro approvvigionamento, alla fine la produzione di energia non può venire dal gas”.
Auto – Sulla transizione energetica e in particolare sul settore dell’auto nella Unione europea “certamente sono stati fatti degli errori”. Soprattutto “nel fissare degli obiettivi ambiziosi ma soprattutto nel non adeguare gli strumenti a quegli obiettivi” ha affermato l’ex presidente del Consiglio italiano e della Bce. Un errore “è stato fatto nel fissare delle date entro le quali il motore a combustione doveva sparire ma non sono stati fissati gli obblighi per le strutture di ricarica per i veicoli elettrici. Il rapporto dice che non bisogna rinunciare a questa linea di fondo, ma bisogna essere consapevoli che non si sono allineati gli strumenti – ha detto – e bisogna accelerare sulla decarbonizzazione facendo le cose necessarie a mantenere degli obiettivi realistici”.
Difesa europea – “La nostra sicurezza è oggi messa in dubbio dal cambiamento nella politica estera del nostro maggior alleato rispetto alla Russia che, con l’invasione dell’Ucraina, ha dimostrato di essere una minaccia concreta per l’Unione Europea. L’Europa è oggi più sola nei fori internazionali, come è accaduto di recente alle Nazioni Unite, e si chiede chi difenderà i suoi confini in caso di aggressione esterna, e con quali mezzi – ha affermato l’ex presidente del Consiglio italiano e della Bce –. L’Europa avrebbe dovuto comunque combattere la stagnazione della sua economia e assumere maggiori responsabilità per la propria difesa in presenza di un minore impegno americano da tempo annunciato. Ma gli indirizzi della nuova amministrazione hanno drammaticamente ridotto il tempo disponibile. Speriamo – ha detto Draghi – ci spingano con eguale energia ad affrontare le complessità politiche e istituzionali che hanno finora ritardato la nostra azione”. Sulla difesa in Europa “occorre definire una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema della difesa continentale – ha aggiunto –. Dal punto di vista industriale ed organizzativo questo vuol dire favorire le sinergie industriali europee concentrando gli sviluppi su piattaforme militari comuni (aerei, navi, mezzi terresti, satelliti) che consentano l’interoperabilità e riducano la dispersione e le attuali sovrapposizioni nelle produzioni degli Stati membri. Nelle ultime settimane, la Commissione ha dato il via a un ingente piano di investimenti nella difesa dell’Europa”. “Come si trovano gli 800 miliardi? Coinvolgendo di più il settore privato e per forza di cose ci sarà anche una quota di debito pubblico – ha detto Draghi rispondendo ad una domanda sulle risorse necessarie per il piano ReArm EU –. Con questa nuova urgenza che è stata impressa dalle recenti dichiarazioni della Commissione sulla difesa europea è chiaro che le capacità di espansione del deficit per tanti paesi forse non le abbiamo quindi effettivamente bisogna ricorrere in qualche modo al debito comune”. “Io ho sempre sostenuto questa cosa da moltissimi anni – ha proseguito Draghi –. La cosa principale è fare quei cambiamenti delle regole necesssari per creare un mercato unico. Questa è la cosa più importante. Si parla di mercato unico dei capitali ma per avere un mercato unico occorre un’attività finanziaria comune”.
Intelligenza Artificiale – In Europa “abbiamo un mercato unico per i dentifrici e non l’abbiamo per l’Intelligenza Artificiale” ha sottolineato Draghi. Draghi ha anche precisato che “all’introduzione di nuove regole gli Stati membri spesso tralasciano di adeguare le normative nazionali e nei casi in cui le direttive della Commissione prevedano un’armonizzazione minima, aggiungono a esse altre prescrizioni nazionali che differiscono tra Paesi”. In questo modo, ha aggiungo Draghi “il mercato unico viene sostanzialmente frammentato”. L’Europa – ha aggiunto – sta continuando ad accumulare ritardi sull’intelligenza artificiale, ritardi che forse sono ormai “incolmabili”. “I modelli di intelligenza artificiale sono diventati sempre più efficienti, con costi di addestramento che si sono ridotti di dieci volte da quando è uscito il rapporto. Secondo recenti sviluppi, i modelli di Intelligenza Artificiale si stanno avvicinando sempre di più, o stanno addirittura superando, le capacità di ricercatori in possesso di dottorato – ha rimarcato –. Agenti autonomi si avviano ad essere in grado di prendere decisioni operando in completa autonomia. In Europa – ha detto Draghi – continuiamo a perdere terreno su questo fronte: otto dei dieci maggiori large language models sono sviluppati in US e i rimanenti due in Cina. In quest’area il Rapporto prende atto che il ritardo europeo è probabilmente incolmabile ma suggerisce che l’industria, i servizi e le infrastrutture sviluppino l’impiego dell’AI nei loro rispettivi settori. L’urgenza è essenziale”.
Regolamentazione Ue – Nell’Unione europea le regole sono “troppe e troppo frammentate, penalizzano, soprattutto nel settore dei servizi, l’iniziativa individuale, scoraggiano lo sviluppo dell’innovazione, penalizzano la crescita dell’economia – ha affermato l’ex presidente del Consiglio italiano e della Bce –. La regolamentazione prodotta dall’Ue negli ultimi venticinque anni ha certamente protetto i suoi cittadini ma si è espansa inseguendo la crescita di nuovi settori, come il digitale, e continuando ad aumentare le regole negli altri. Ci sono 100 leggi focalizzate sul settore high tech e 200 regolatori diversi negli Stati Membri. Non si tratta di proporre una deregolamentazione selvaggia ma solo un po’ meno di confusione”. “All’introduzione di nuove regole gli Stati membri spesso tralasciano di adeguare le normative nazionali e nei casi in cui le direttive della Commissione prevedano un’armonizzazione minima, aggiungono a esse altre prescrizioni nazionali che differiscono tra Paesi. Infine – ha aggiunto – la difesa del mercato unico di fronte alla Corte di Giustizia Europea è divenuta sempre più rara. Un recente studio del Fondo Monetario Internazionale ha mostrato come l’eccesso di regolamentazione e specialmente la sua frammentazione abbia contribuito a creare delle barriere interne al mercato unico che equivalgano a un dazio del 45% sui beni manifatturieri e del 110% sui servizi”. “Non possiamo dunque stupirci – ha proseguito Draghi – se i nostri inventori più brillanti scelgano di portare le loro aziende in America, e se i cittadini europei li seguano con i propri risparmi”. L’ex premier ha espresso sostegno per le recenti proposte della Commissione Ue in materia di obblighi di informativa sulla sostenibilità, da cui saranno esentate le imprese con meno di mille dipendenti. “È solo un primo passo nella direzione giusta. Da parte degli Stati Membri non risulta alcuna iniziativa di maggiore semplificazione”.
Startup innovative – La proposta della Commissione europea di creare un “28esimo regime giuridico per le società innovative che saranno soggette in tutti i 27 Stati dell’Unione alle stesse norme di diritto societario, fallimentare, del lavoro e tributario merita un convinto sostegno” ha affermato l’ex premier e ex presidente della Bce.
Surplus, austerità e salari bassi non era la strategia giusta – In Europa “si è creato questo gigantesco surplus che è andato verso il resto del mondo. Nel frattempo abbiamo continuato a diventare sempre più poveri quindi forse non era la strategia giusta, ora è il momento di pensare alla crescita interna – ha detto Draghi –. Siamo sicuri che vogliamo mantenere questo surplus? non è meglio stimolare la domanda interna e spendere per innovazione, clima? Lo squilibrio commerciale si aggrava a partire dalla crisi finanziaria nel 2008 e restringendo le regole sul credito più degli Usa. Subito dopo c’è stata la crisi del debito europeo ed il credito va a zero o addirittura verso tassi negativi e si rialzerà al 2% solo nel 2026. Negli Usa è andato giù nel 2010 ed è poi tornato al 5% di crescita dopo due anni”. “La seconda cosa che è successa – ha aggiunto – è che abbiamo contratto i bilanci pubblici e compresso i salari anche perché noi in quegli anni pensavamo di essere in competizione con gli altri paesi europei e abbiamo tenuto i salari bassi come strumento di concorrenza. Quindi austerià e salari bassi mentre non abbiamo fatto nulla per aprire il mercato interno, soprattutto per i servizi che rappresentano il 70% del Pil”.
In una guerra commerciale l’Europa è la più vulnerabile – Nel quadro globale “fondamentalmente ci sta una guerra commerciale. Si capiva già che ci saremmo andati e l’Europa è più vulnerabile di tutti gli altri, perché noi traiamo il 50% del nostro prodotto dal commercio estero, gli Stati Uniti solo il 26%, la Cina solo il 32%. Quindi se gli altri mettono dei dazi e noi rispondiamo alla fine fondamentalmente creiamo anche un danno a noi stessi, perché di fronte a una risposta degli altri siamo più vulnerabili, perché gli altri ci colpiscono più di quanto noi possiamo fare a loro – ha affermato l’ex premier e ex numero uno della Bce –. Allora che cosa si fa? Si accetta passivamente la concorrenza sleale o le azioni di protezionismo? Il rapporto da che era diventato sulla competitività è diventato un rapporto sulla politica industriale. E in particolare individua diversi casi. Il primo è quando la tecnologia è ormai persa, anche grazie alla concorrenza sleale. Prendete il caso dei pannelli solari: a questo punto – ha sostenuto Draghi – non conviene neanche metterli come un obiettivo della politica industriale. Lasciamo che il cittadino cinese paghi le tasse per sussidiare la vendita dei pannelli solari a noi”. “Poi vi sono dei settori che sono molto importanti nell’economie europee, in questi casi noi quello che vogliamo tenere sono i posti di lavoro – ha proseguito –. Quindi la concorrenza in quel caso è diversa, noi non siamo particolarmente interessati alla tecnologia, ma ai posti di lavoro. Allora in quel caso non è una questione di proteggere, e semmai incoraggiare, gli investimenti diretti di quelli che sono più bravi a tenere e proteggere o aumentare i posti di lavoro”. Infine, possono esserci dei casi in cui invece “siamo interessati alla tecnologia e vogliamo proteggere questa tecnologia dalla concorrenza sleale, che si basi sui dazi, o sui sussidi ma anche su una artificiosa compressione della domanda interna con dei salari deliberatamente bassi e con probabilmente una protezione sociale diversa e con requisiti di qualità diversi. Come nel caso della tecnologia relativa alle batterie e le ricariche – ha detto Draghi –. E notate che l’Europa è un leader mondiale per l’innovazione nelle tecnologie pulite e verdi. E poi ci sono delle piccole industrie che sono altamente innovative in alcuni campi come il clima”.
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