Brevetti universitari e innovazione tra USA, UE e Italia: la recente riforma italiana


La gestione efficace della proprietà intellettuale nelle università richiede una comprensione sfumata delle diverse leggi che governano brevetti e copyright, nonché una strategia attenta per bilanciare gli interessi di ricercatori, istituzioni e finanziatori pubblici. Nel panorama dell’innovazione e della ricerca accademica statunitense, la Licenza governativa Bayh-Dole o Legge Bayh-Dole (Patent and Trademark Law Amendments Act) del 1980 emerge come un punto di svolta cruciale, in quanto ha ridefinito il rapporto tra ricerca finanziata dal governo federale e commercializzazione delle invenzioni negli Stati Uniti.

È importante sottolineare che questa normativa è specifica del contesto statunitense e ha avuto un impatto significativo sul modo in cui la ricerca finanziata dal governo viene gestita e commercializzata negli Usa. Tuttavia, il suo impatto e le sue implicazioni si sono estesi ben oltre i confini degli Stati Uniti, influenzando le politiche di innovazione e trasferimento tecnologico in molti altri Paesi. La Legge Bayh-Dole prende il nome dai senatori Birch Bayh e Bob Dole e ha avuto un impatto significativo sul trasferimento tecnologico dalle università all’industria, stimolando l’innovazione e la commercializzazione della ricerca accademica.

Una premessa fondamentale: La Bayh-Dole riguarda i brevetti, non il diritto d’autore. È come se avessimo due scatole diverse: una per le invenzioni e una per gli articoli scientifici, e la legge che stiamo esaminando si occupa solo della prima scatola. In altre parole essa non influisce sul diritto d’autore degli articoli accademici, che sono regolati da norme diverse, a partire dalla ‘Licenza per Scopi Federali’. La Bayh-Dole si concentra principalmente sui diritti di brevetto, permettendo alle università e alle piccole imprese statunitensi di mantenere la titolarità delle invenzioni sviluppate con fondi federali. Questo ha creato un nuovo paradigma per il trasferimento tecnologico nel sistema di ricerca degli Stati Uniti, incentivando le istituzioni americane a commercializzare le loro scoperte. La Legge Bayh-Dole ha indubbiamente trasformato anche il panorama dell’innovazione accademica, ma il suo impatto sul diritto d’autore delle pubblicazioni scientifiche rimane indiretto.

Da dove nasce l’idea di base

L’idea nasce in un periodo (gli anni Settanta del secolo scorso) e in un contesto in cui le brillanti idee nate nei laboratori universitari statunitensi potevano facilmente trasformarsi in prodotti per migliorare la vita di tutti, e questo è esattamente ciò che la Licenza governativa Bayh-Dole rende possibile oggi. Birch Bayh, senatore democratico dell’Indiana, era noto per il suo impegno nelle riforme legislative, e aveva già lavorato su temi come i diritti civili e l’uguaglianza di genere; Bob Dole, repubblicano del Kansas, era un veterano della Seconda Guerra Mondiale conosciuto per il suo pragmatismo e la sua esperienza in questioni economiche.

Nonostante le loro differenze politiche, Bayh e Dole condividevano una visione comune: vedevano un potenziale inutilizzato nelle ricerche universitarie finanziate dal governo federale e volevano permettere agli atenei di brevettare e commercializzare le invenzioni che potevano derivarne. La loro collaborazione dimostrò che, su certe questioni, era possibile superare le divisioni partitiche per perseguire obiettivi comuni nel campo della ricerca e dell’innovazione. Grazie a questa legge, le università e i piccoli imprenditori hanno il potere proteggere le loro invenzioni con brevetti per poi condividerle con il mondo esterno, come se avessero ricevuto un permesso speciale per trasformare le idee in realtà. Le università possono guadagnare dalle loro scoperte, reinvestendo i profitti in nuove ricerche; le aziende, soprattutto quelle più piccole e innovative, possono accedere a tecnologie all’avanguardia.

Il “pass VIP” del governo federale

Non sono però tutte rose e fiori: il governo federale, che finanzia queste ricerche, mantiene una sorta di “pass VIP” per utilizzare queste invenzioni quando necessario, in un delicato equilibrio tra innovazione privata e beneficio pubblico. La Licenza Bayh-Dole funziona come un ponte tra il mondo accademico e quello industriale ed è la dimostrazione di come la collaborazione tra università e industria possa favorire l’innovazione nei laboratori, nelle aule universitarie e nelle startup di tutto il paese, permettendo a università, imprese piccole o non-profit di possedere e commercializzare invenzioni finanziate dal governo. I punti di forza sono quelli di aver accelerato il trasferimento tecnologico, stimolato l’economia locale e rafforzato la collaborazione università-industria. Bilanciando interessi pubblici e privati, la legge richiede la divulgazione delle invenzioni e mantiene alcuni diritti governativi. Ha creato un ecosistema dinamico che accelera il progresso tecnologico, riducendo il tempo tra ricerca e mercato, e promuovendo una ricerca più mirata alle esigenze industriali.

Questo nuovo paradigma continua a influenzare positivamente l’economia e la ricerca statunitense, tuttavia emergono questioni etiche, specialmente in ambito biomedico. Inoltre, essendo specifica degli Usa, questo tipo di regolamentazione può a volte complicare le collaborazioni di ricerca internazionali in un contesto sempre più globalizzato. Vi sono inoltre numerosi altri punti di debolezza o criticità, ad esempio nel rischio di privilegiare la ricerca commercializzabile a scapito di quella di base, potenzialmente limitando l’accesso a tecnologie cruciali e creando monopoli, oppure di favorire progetti più redditizi, trascurando aree socialmente rilevanti ma meno lucrative. La gestione dei brevetti richiede inoltre risorse significative, favorendo le grandi istituzioni e ampliando le disparità, generando i pericoli di controversie sulla proprietà intellettuale e di sottoutilizzo delle tecnologie.

Un argomento complesso

La complessità dell’argomento sottolinea la necessità per le università di bilanciare la protezione dei propri interessi con il mantenimento di un ambiente favorevole alla ricerca e all’innovazione. A questo riguardo caso Stanford v. Roche, discusso nel 2011 presso la Corte Suprema degli Stati Uniti, è emblematico. La questione riguardava i diritti di brevetto su un metodo per quantificare il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) nel sangue, sviluppato da un ricercatore affiliato sia all’Università di Stanford che all’azienda Cetus. La Corte Suprema stabilì che, secondo la Legge Bayh-Dole, i diritti di brevetto appartengono inizialmente all’inventore e non all’istituzione anche in caso di ricerca finanziata con fondi federali, evidenziando la necessità di accordi espliciti tra università e ricercatori e mettendo in luce l’importanza del linguaggio utilizzato nelle clausole contrattuali. Di conseguenza molte università americane hanno dovuto in seguito rivedere le loro politiche di proprietà intellettuale e i contratti con i ricercatori, con lo scopo di assicurarsi effettivamente i diritti sulle invenzioni sviluppate all’interno delle loro istituzioni.

Diversa invece la situazione in Europa dove apparentemente si assiste a una presunta contraddizione tra eccellenza scientifica e difficoltà a trasformare questa conoscenza in innovazioni commerciali: il cosiddetto “Paradosso Europeo”, concetto emerso negli anni ’90 nel dibattito sulla politica scientifica e tecnologica dell’Unione Europea. Nel 2006 l’analisi di Lissoni e Montobbio aveva evidenziato che l’attività brevettuale accademica europea è più significativa di quanto spesso riconosciuto, sottolineando l’assenza di un trade-off tra pubblicazioni e brevetti a livello individuale tra i ricercatori. Gli autore mettevano in luce differenze significative tra i sistemi di brevettazione universitaria americani ed europei, contestando l’efficacia di adottare in Europa legislazioni simili al Bayh-Dole Act e suggerendo che il successo del sistema universitario statunitense derivasse più dalle risorse disponibili e dall’autonomia delle istituzioni che dalla specifica legislazione sui brevetti.

Questa analisi critica, utile anche ai fini della modifica del Codice di proprietà industriale italiano 30/2005, fornì una base importante per ripensare le strategie di innovazione in Europa, evidenziando la necessità di soluzioni adatte al contesto specifico europeo piuttosto che l’adozione acritica di modelli americani. Allo scopo si rimanda al report di Clarivate 2024 che evidenzia il crescente ruolo delle università europee nella promozione dell’innovazione globale, concentrandosi sull’impatto sociale della ricerca. Interessante il flusso di conoscenza globale tra ricerca accademica e innovazioni industriali, che mostra come le relazioni tra università e principali innovatori stiano plasmando il panorama dell’innovazione globale e come l’Italia non sia ancora lanciata.

La situazione italiana

Per quanto riguarda l’Italia, la Legge 24 luglio 2023, n. 102, introduce importanti modifiche al Codice, con particolare rilevanza per il settore accademico e della ricerca pubblica. La legge prevede misure per rafforzare gli uffici di trasferimento tecnologico delle università, fornendo risorse e competenze per una gestione più efficace della proprietà intellettuale. La riforma affronta in modo specifico la questione dei brevetti universitari, cerca di bilanciare gli interessi degli inventori accademici, delle istituzioni di ricerca e del settore privato. Pur condividendo alcuni obiettivi generali con il Bayh-Dole Act la riforma non è una replica del modello americano ma piuttosto di un approccio adattato alle esigenze e alle caratteristiche del sistema di ricerca e innovazione italiano.

Un aspetto chiave della nuova normativa riguarda la titolarità delle invenzioni realizzate in ambito universitario ove si introduce, modificando il regime precedente, un approccio più flessibile che mira a incentivare sia l’attività inventiva dei ricercatori che il trasferimento tecnologico. In particolare, viene rivisto il principio che in passato attribuiva la titolarità delle invenzioni ai ricercatori stessi invece che alle università, la tanto discussa norma sulle invenzioni universitarie secondo il pacchetto Tremonti. Da questo punto di vista oggi il Codice prevede un sistema di co-titolarità tra l’inventore e l’istituzione di ricerca, con meccanismi di ripartizione dei proventi derivanti dalla commercializzazione delle invenzioni, mirando a bilanciare il riconoscimento del contributo individuale del ricercatore e l’interesse dell’università a valorizzare i risultati della ricerca condotta con risorse pubbliche.

La riforma introduce inoltre misure per promuovere una più stretta collaborazione tra università e industria, incentivando la creazione di partnership di ricerca e sviluppo. La legge affronta anche la questione della gestione della proprietà intellettuale nelle collaborazioni internazionali, aspetto sempre più rilevante nell’era della ricerca globalizzata, chiarendo diritti e le responsabilità con lo scopo di facilitare la partecipazione delle università italiane. Un’altra novità riguarda il supporto alle attività di brevettazione e commercializzazione delle invenzioni accademiche.

La Legge 102/2023 pur affrontando alcune delle complessità evidenziate dal Paradosso Europeo, rappresenta più un passo verso il suo superamento che una soluzione definitiva. Questo perché, sebbene introduca misure significative per favorire il trasferimento tecnologico e stimoli la collaborazione tra università e industria, il contesto italiano ed europeo richiede ulteriori sviluppi. La legge rischia infatti di generare distorsioni, se non accompagnata da un monitoraggio continuo e da adeguati perfezionamenti. In particolare, la gestione della co-titolarità e la proprietà intellettuale nelle collaborazioni internazionali potrebbero presentare difficoltà applicative o conflitti tra gli attori coinvolti, che necessitano di un continuo adattamento.

A riguardo le clausole contrattuali sono un aspetto cruciale e possono avere un impatto significativo sull’efficacia della legge. Se non ben definite, potrebbero causare conflitti o incertezze, minando gli obiettivi di trasferimento tecnologico e valorizzazione delle invenzioni. Inoltre, la mancanza di standardizzazione o di disposizioni chiare potrebbe portare a interpretazioni divergenti, rallentando la commercializzazione dei brevetti o creando squilibri tra le parti coinvolte. La formazione degli operatorie amministrativi e una gestione più chiara e coerente delle clausole contrattuali sarà quindi fondamentale per garantire che la legge non solo promuova l’innovazione, ma lo faccia in modo equilibrato e senza rischiare di produrre effetti distorsivi o disincentivanti.

Da presidiare anche l’interazione tra sistema accademico e settore privato, evitando i rischi che la ricerca venga influenzata più da logiche economiche che da quelle scientifiche. Il processo di adattamento del sistema di ricerca e innovazione italiano alle dinamiche globali è destinato a proseguire, e dovrà essere costantemente monitorato per evitare che emergano nuove distorsioni o rischi.





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